lunedì 23 dicembre 2013

Stazione di Molfetta, il sottopassaggio è “vietato” ai disabili




di Elisabetta dell’Olio - Appoggiati a Me

E' da molti anni che pongo l’attenzione su questa barriera architettonica, per cercare di “abbatterla” ma, a tutt’oggi non ho risolto ancora nulla.
A quale barriera mi sto riferendo? Al sottopassaggio pedonale della stazione ferroviaria della mia città, Molfetta.
La difficoltà per le persone in carrozzina ma anche per una mamma con passeggino o per un anziano è lampante: il sottopassaggio è composto da una serie di gradini ripidissimi.

In passato, dettata dalla voglia di utilizzare il treno come mezzo di trasporto per raggiungere l’università e completare i miei studi, ho intrapreso una battaglia personale scrivendo alla vecchia Amministrazione Comunale, sia al Sindaco che all’Assessore alla Socialità, da cui però non ho mai ricevuto risposte.
Ho anche scritto anche a Trenitalia spiegando il problema e sperando di ottenere una risposta in merito alle competenze, qualora non fossero comunali: tutto invano.

Il 31 ottobre 2013, mi sono recata a nome del comitato “Appoggiati a Me” ad uno dei question time che l’attuale amministrazione comunale tiene per sentirsi più “vicina” alle problematiche della cittadinanza.
In quell’occasione, infatti, a rispondere era proprio il nuovo Sindaco Paola Natalicchio.
La reazione del primo cittadino fu positiva: mi ringraziò per aver posto l’accento su una barriera architettonica da tutti trascurata e prese l’impegno ad affrontare questo problema.
Mi auguro, che nonostante i tanti impegni che la sua carica comporta, il nostro Sindaco mantenga fede alla promessa fatta, perché abbattere quella barriera architettonica sarebbe in fondo un bene non solo per i disabili ma per tutti i cittadini.

Recentemente sono stati effettuati dei lavori lungo le scalinate di questo sottopassaggio, e per un attimo ci era parso che stessero installando una rampa per disabili. Ci eravamo illusi che finalmente le nostre numerose segnalazioni avessero dato i suoi frutti ed eravamo pronti a festeggiare l'abbattimento di questa odiosa barriera architettonica. Grande è stata invece la delusione quando abbiamo capito che in realtà si trattava semplicemente di un nuovo corrimano. (Vedi foto in alto)

Non sono esperta in materia e non sono certa di chi siano le “competenze” sulla questione, però continuerò a lottare personalmente, anche con l’aiuto del Comitato “Appoggiati a Me” che ha sposato volentieri questa battaglia.



lunedì 16 dicembre 2013

Disabili discriminati anche al cinema




di Vito Fuzio - Appoggiati a Me

Cinema e cultura, un diritto di tutti. Bene, qualche anno fa proposi a mia mamma di andare per la prima volta al Multisala Uci Cinemas di Molfetta per passare una serata diversa dal solito e guardarsi un buon film. Giunti sul posto diamo un’occhiata alla struttura esterna che ai nostri occhi si presentava molto positiva, dopodiché entriamo all’interno. Fin qui tutto bene, la serata sembra andare per il verso giusto. Quindi ritiriamo i biglietti e arriviamo su alle sale tramite ascensore e veniamo accompagnati da un addetto che mi indica uno dei posti riservati ai disabili in carrozzina posizionati in prima fila e a pochi metri dal maxischermo, io al mio posto e mia mamma poco distante alla sua poltrona. In pratica tutto il tempo del film siamo stati a testa in su e gli occhi stanchi per l’immagine distorta. Come è facile immaginare siamo tornati a casa con un forte mal di collo.

Da quella volta, vista l’esperienza negativa, non siamo più tornati in quella, per così dire, “problematica” multisala.

Secondo voi a chi piace stare seduti nella scomodissima prima fila, dalla quale il film si vede distorto e il collo dopo mezz’ora inizia a far male? Presumo a nessuno! Ebbene i progettisti e ingegneri avrebbero dovuto valutare questo aspetto, dando la possibilità anche a chi vive in carrozzina di poter assistere alla poiezione in modo confortevole come tutti gli altri spettatori. Ma tutto questo è stato sottovalutato come sempre.


Nella serata di ieri, 15/12/2013, una delegazione del Comitato "Appoggiati a Me" si è recata presso la multisala molfettese e ha potutto parlare col suo responsabile, il sig. Giorgio,  che ci ha confermato che nel frattempo nulla è cambiato. Alle nostre rimostranze verbali il direttore dell'Uci Cinemas di Molfetta ci ha promesso che farà presente la problematica a chi di dovere e ci farà sapere. Vi aggiorneremo tempestivamente sugli sviluppi di questa vicenda.

giovedì 12 dicembre 2013

Un seminario per comprendere e gestire le emozioni dei bambini autistici




di Lidia de Trizio – Appoggiati a Me

Il 7 dicembre 2013 presso l’Aula Magna del Liceo Statale “Vito Fornari” di Molfetta si è tenuto un seminario dal titolo “Comprensione e gestione delle emozioni negli autismi” organizzato da A.S.A. Onlus Giovinazzo, Spazio Asperger Onlus, Istituto “Gaetano Selvemini” Molfetta.

Sono intervenuti il prof. Sabino Lafasciano, preside del Liceo Statale “Vito Fornari” e dell’ITTS “Gaetano Salvemini”, il quale ha parlato del progetto “Scuola-Amica”; il dott. Alessandro Frolli, neuropsichiatra infantile, il quale ha parlato dell’autismo come malattia neuro-genetica e il dott. David Vagni, vice presidente Spazio-Asperger, il quale ha parlato di come gestire le emozioni nell’autismo.

Costruire un ambiente scuola-amica significa rimpiazzare la cultura del dover rimediare ad un deficit con quella del rispettare il diverso modo di apprendere. E quindi si chiede innanzitutto allo specialista una diagnosi precisa: troppo vasto è lo spettro dei disturbi autistici, diversamente associati a forme di ritardo che vanno dal medio-lieve in su, oppure qualificantesi come sindrome di Tourette o di Asperger, come disturbi relativi soprattutto all’area affettivo-relazionale, con alto funzionamento di alcune competenze di calcolo, e assolutamente carenti per intelligenza sociale, ma anche per tutte le operazioni logiche che non siano di puro calcolo.

Innanzitutto occorre fare i conti con il senso di frustrazione che abita la relazione dal punto di vista dell’educatore, dell’insegnante, ma anche del familiare. Perché i tempi dell’interazione con la persona autistica sono estremamente lenti.

Occorre fare i conti con la propria corporeità. Perché la persona autistica usa proprio e preferibilmente la comunicazione non verbale, fatta di gesti, di sguardi, di necessità di toccare, di sentire il corpo dell’interlocutore. Per questo è impossibile mentire nella relazione con la persona autistica. Perché è il corpo, il nostro corpo, che, se non accoglie, respinge una relazione di senso con l’altro. Occorre essere risolti nella propria sessualità, consapevoli della propria corporeità, capaci di metterla in gioco, per comunicare con la persona autistica.

La persona disabile è un’opportunità, lungi dall’essere un problema per la classe o il gruppo che la accoglie.

Se la socialità è un problema per la persona autistica, che non sopporta il rumore, che prende per violente forme di comunicazione “normali” tra coetanei, che non sopporta l’indeterminatezza di una nuova situazione, paradossalmente proprio la persona autistica ci restituisce più di quanto noi riusciamo a dare, fornendoci insegnamenti fondamentali sulla vita.

“Se non riesco ad imparare nel modo in cui insegni, potresti insegnare nel modo in cui io imparo?”

sabato 7 dicembre 2013

Disabilità e Volontariato, due giornate dimenticate



di Domenico Porcelli - Appoggiati a Me

Questi giorni appena trascorsi sono stati particolarmente emotivi soprattutto per chi, suo malgrado, si deve confrontare con le proprie limitazioni fisiche e/o psichiche e per chi si dedica senza scopo di lucro a queste persone bisognose di assistenza.

Il 3 dicembre si è svolta la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità mentre il 5 dicembre quella del Volontariato.

Il Comitato “Appoggiati a Me”, si sa, nasce per sensibilizzare l’opinione pubblica affinchè ci sia un approccio consapevole verso i più sfortunati e pertanto non ha potuto non notare con stupore e anche con un pizzico di disappunto, che le varie istituzioni, da quelle nazionali a quelle locali, gli organi di stampa e le televisioni, peraltro molto sensibili e attenti alla tematica del femminicidio, abbiano invece tralasciato le tematiche della disabilità e della solidarietà che coinvolge una parte significativa della popolazione.

Superfluo scrivere come disabilità e solidarietà camminino mano nella mano e che molto spesso proprio grazie a quest’ultima si riesca a sopperire a situazioni di carenza da parte delle Istituzioni.
Auspichiamo che in futuro ci sia più attenzione rispetto a questi temi magari coinvolgendo proprio quelle associazioni non a scopo di lucro che, portando il loro esempio propositivo, danno un valore aggiunto all’intera comunità.

martedì 3 dicembre 2013

Sono disabile, non sono un eroe perché vivo la vita di tutti i giorni

In occasione della Giornata internazionale delle persone disabili, qualche riflessione sulla percezione della disabilità da parte di chi disabile non è





di Francesca Martin - (disabili.com)

"Il rispetto per la dignità intrinseca, l'autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l'indipendenza delle persone; la non discriminazione; la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società; il rispetto per la differenza e l'accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell'umanità stessa; la parità di opportunità; l'accessibilità; la parità tra uomini e donne; il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità".


Basterebbe questo, il testo dell'articolo 3 della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, che l'Assemblea delle Nazioni Unite ha approvato nel dicembre 2006, per dire tutto quello che c'è da dire oggi, Giornata Internazionale delle persone con disabilità. Ogni anno, dal  1993, in Europa il 3 di dicembre è come se si accendesse un faro sulla disabilità. Ma cosa significa essere disabile, oggi, in Italia? 

Significa in larga parte avere bisogni inespressi, significa cercare risposte dalle istituzioni che spesso mancano, significa dover fare i conti con i soldi che non bastano, significa ancora sentire su di sè gli sguardi degli altri, significa dover dimostrare che no, non si ha riacquistato la vista da un anno all'altro. Significa dover rinunciare a uscire di casa, significa non avere una maestra di sostegno che ci segue, significa dover scendere le scale della metropolitana a braccia e elemosinare fondi per poter vivere dignitosamente in casa propria, significa fare la fila il doppio all'ufficio di collocamento.


Significa affrontare una serie di difficoltà materiali, sociali ed economiche per sé e la propria famiglia. Significa anche domandarsi perché e tante volte non trovare risposta. Ma significa al contempo cercare e trovare soluzioni alternative alle cose che tutti fanno, tutti i giorni, in maniera automatica. Significa, in definitiva,  essere. Essere su una sedia a rotelle, essere ciechi, essere sordi, ma essere. Siamo, viviamo, esistiamo, ci innamoriamo, ci arrabbiamo, mangiamo e ci divertiamo. Non siamo extraterrestri, ma persone con facoltà magari ridotte, con bisogni particolari, ma per il resto in tutto e per tutto siamo, come chiunque.


E' questo (e molto altro) quello che vorremmo dire a chi disabile non lo è. E perché non iniziamo a dirglielo, aiutando ad abbattere quelli che spesso sono ancora muri, invisibili, ma muri? Una cosa simile la fa Rachelle Friedman, blogger e ambasciatrice della  community di persone con lesione midollare, che qualche giorno fa ha scritto per l'Huffington Post un pezzo dal titolo: "Ten things you shouldn't say to someone who uses a wheelchair" (Dieci cose da non dire a qualcuno che usa una carrozzina). 


"Ho sentito cose abbastanza folli uscire dalla bocca della gente, da quando sono su una sedia a rotelle!", inizia Rachelle, che ammettendo la buona fede delle persone, mette in ridicolo alcune espressioni che spesso ci si sente rivolgere da chi non vive o non ha particolare familiarità con la disabilità di una persona in carrozzina. Qualche esempio del suo decalogo: "Sei molto carina per essere su una sedia a rotelle", come se la disabilità rendesse brutti e tristi. Ma, al di là di questo, dice Rachelle, se vuoi farmi un complimento va benissimo, ma tieni la carrozzina fuori dalla cosa!

E questa difficoltà della gente di percepirti come persona, al di là delle tue quattro ruote e telaio, è ripresa anche in un secondo punto della lista di Rachelle, che dice "Non dirmi che sono un'ispirazione". Precisa Rachele che sì, a volte è ok sentirselo dire, e comprende il punto di vista e lo spirito come cui una persona "normodotata" possa pensarlo, ma lo stesso, stona. Vuole dire Rachelle, "non sto facendo nulla di straordinario, sono una ragazza che guida, fa la spesa, si diverte, esce. Ah, è vero, sto sulla carrozzina.  Ma non faccio nulla di straordinario, e se capitasse anche a te quello che è successo a me, ti stupiresti di scoprire questa forza che adesso ti sembra così eccezionale su di me". 



"Parcheggio qui solo per un minuto". Quante volte lo sentiamo dire? Rachelle dice che è la scusa numero uno che lei e i "carrozzati" si sentono rivolgere quando qualcuno parcheggia su un posto riservato ai disabili. Ebbene, dice Rachelle, al di là che di solito non è vero che è solo per un minuto (!), si dimentica forse che chi ha bisogno di quel posto ha, esattamente come tutti, appuntamenti e cartellini da timbrare. Un po' di rispetto, quindi! E questa frase fa il paio con un'altra: "Mi fa piacere vederti in giro!". Pensano forse che chi è in carrozzina sia un eremita? Quanto poco siamo abituati a vedere la disabilità per strada! Non parliamo poi di quando qualcuno si rivolge a noi con una vocina da "maestra dell'asilo", dice Rachelle. "Non capisco perché qualcuno che incontro per la prima volta debba parlarmi con quel tono, come se fossi una bimba…".

 Questi sono solo alcuni esempi, che tra l'altro possono valere non per tutti, ma è un modo utile per aiutare la gente a capire. Dice Rachelle a questo proposito ai lettori: "Se hai pronunciato qualcuna di queste frasi, non sentirti sbagliato (a meno che tu non abbia rubato un parcheggio riservato a un disabile!). Non siamo arrabbiati o offesi, vogliamo solo aiutare la gente a capire. Non siamo di ispirazione perché viviamo la nostra vita di tutti i giorni; i compagni o partner di una persona con disabilità non sono eroi: semplicemente amano l'altra persona come chiunque altro".



Tutti questi esempi fanno capire, con un pizzico di quell'arma potente che è l'ironia, quanto ancora ci sia da lavorare anche sulla percezione stessa della persona con disabilità, da parte di chi non sia disabile. E quando si parla di barriere culturali si parla anche di questo. Iniziamo da qui per abbattere un po' di muri!