giovedì 12 dicembre 2013
Un seminario per comprendere e gestire le emozioni dei bambini autistici
di Lidia de Trizio – Appoggiati a Me
Il 7 dicembre 2013 presso l’Aula Magna del Liceo Statale “Vito Fornari” di Molfetta si è tenuto un seminario dal titolo “Comprensione e gestione delle emozioni negli autismi” organizzato da A.S.A. Onlus Giovinazzo, Spazio Asperger Onlus, Istituto “Gaetano Selvemini” Molfetta.
Sono intervenuti il prof. Sabino Lafasciano, preside del Liceo Statale “Vito Fornari” e dell’ITTS “Gaetano Salvemini”, il quale ha parlato del progetto “Scuola-Amica”; il dott. Alessandro Frolli, neuropsichiatra infantile, il quale ha parlato dell’autismo come malattia neuro-genetica e il dott. David Vagni, vice presidente Spazio-Asperger, il quale ha parlato di come gestire le emozioni nell’autismo.
Costruire un ambiente scuola-amica significa rimpiazzare la cultura del dover rimediare ad un deficit con quella del rispettare il diverso modo di apprendere. E quindi si chiede innanzitutto allo specialista una diagnosi precisa: troppo vasto è lo spettro dei disturbi autistici, diversamente associati a forme di ritardo che vanno dal medio-lieve in su, oppure qualificantesi come sindrome di Tourette o di Asperger, come disturbi relativi soprattutto all’area affettivo-relazionale, con alto funzionamento di alcune competenze di calcolo, e assolutamente carenti per intelligenza sociale, ma anche per tutte le operazioni logiche che non siano di puro calcolo.
Innanzitutto occorre fare i conti con il senso di frustrazione che abita la relazione dal punto di vista dell’educatore, dell’insegnante, ma anche del familiare. Perché i tempi dell’interazione con la persona autistica sono estremamente lenti.
Occorre fare i conti con la propria corporeità. Perché la persona autistica usa proprio e preferibilmente la comunicazione non verbale, fatta di gesti, di sguardi, di necessità di toccare, di sentire il corpo dell’interlocutore. Per questo è impossibile mentire nella relazione con la persona autistica. Perché è il corpo, il nostro corpo, che, se non accoglie, respinge una relazione di senso con l’altro. Occorre essere risolti nella propria sessualità, consapevoli della propria corporeità, capaci di metterla in gioco, per comunicare con la persona autistica.
La persona disabile è un’opportunità, lungi dall’essere un problema per la classe o il gruppo che la accoglie.
Se la socialità è un problema per la persona autistica, che non sopporta il rumore, che prende per violente forme di comunicazione “normali” tra coetanei, che non sopporta l’indeterminatezza di una nuova situazione, paradossalmente proprio la persona autistica ci restituisce più di quanto noi riusciamo a dare, fornendoci insegnamenti fondamentali sulla vita.
“Se non riesco ad imparare nel modo in cui insegni, potresti insegnare nel modo in cui io imparo?”
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