martedì 26 novembre 2013

(S)concerto




di Elisabetta dell’Olio - Appoggiati a Me

Mercoledì 13 Novembre 2013 si è tenuta la seconda e ultima tappa pugliese del Tour “EsageriAMO” di Renato Zero.
Come tutti i fans, mi appresto, fin dal mese di agosto, a comprare il biglietto ed essendo diversamente abile, mi attivo per poter ottenere un biglietto “a costi ridotti”.
Dopo un po’ di ricerche fatte in rete, finalmente trovo i recapiti telefonici dell’ente organizzatore del concerto. L’ operatrice che mi risponde mi assicura che dietro il pagamento di 46 euro avrò 2 biglietti numerati (uno per me e l'altro per il mio accompagnatore) per il settore dedicato alle persone diversamente abili, da ritirare direttamente dalla biglietteria quella sera, in quanto non è prevista una spedizione dei biglietti (cosa molto più semplice e agevole per me!!!).
La fatidica sera arriva, e alle 18 sono già al Palaflorio. La mia amica riesce, bypassando una coda chilometrica ad avere i nostri biglietti. Immediatamente dopo ci dirigiamo verso l’ingresso riservato alle persone diversamente abili, dove gli uomini della sicurezza ci dicono che dovremmo aspettare fino alle 19 per poter entrare nel palazzetto. Da sottolineare che, in quell’ora di attesa da quell’ingresso passano persone anche non diversamente abili, l’unica eccezione positiva, dietro le nostre proteste è di un uomo che avendo una gamba paralizzata non riesce a stare in piedi per un’ora.
Poco dopo le 19, finalmente entriamo, dove gli addetti alla sicurezza ci indicano la nostra area riservata. Subito, ci accorgiamo che sia per gli accompagnatori sia per gli altri ragazzi diversamente abili (coloro che pur essendo diversamente abili non sono in carrozzina) non sono previsti né posti a sedere sugli spalti né tantomeno delle semplicissime sedie. Immediatamente ci rivolgiamo sia alle forze dell’ordine sia alle persone che in quell’occasione rappresentano l’ente organizzatore del concerto. Entrambi, prima ci dicono che procurarci delle sedie non rientra nelle loro mansioni,poi affermano che in tutto il palazzetto non ci sono altre sedie, sottolineando che la medesima situazione si era verificata il giorno precedente e pregandoci di rivolgerci alla biglietteria per poter ottenere ciò per cui avevamo pagato. Mentre un piccolo gruppo di noi va in biglietteria, gli altri rimasti (me compresa) davanti alle forze dell’ordine, minacciamo di bloccare il concerto o quanto meno di avvicinarci sotto il palco a concerto iniziato per goderci quello per cui avevamo pagato. All’udire le nostre intenzioni, un poliziotto ci avvisa che il nostro comportamento è punibile anche con l’arresto.
Poco prima dell’inizio del concerto la biglietteria procura a tutti delle sedie dicendoci di essere riuscita ad ottenerle da un servizio catering.
Il concerto, che dire, è stato bellissimo ed intenso ma quest’esperienza lascia anche dell’amaro in bocca perché mi chiedo, dove sono i miei diritti? E poi anche in queste bellissime occasioni di svago  mi rendo conto che sia le barriere architettoniche sia soprattutto quelle mentali non si finisce mai di abbatterle. Oppure era meglio, comprare dei biglietti “normali” ed ottenere tranquillamente  il proprio posto numerato, piuttosto che avere diritto ad un biglietto “ridotto” e non avere  il proprio posto a sedere?

lunedì 25 novembre 2013

Come raccontare la violenza sulle donne con disabilità

In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il Comitato "Appoggiati a Me" propone alla vostra attenzione questo articolo che affronta questo delicatissimo tema soffermandosi, in modo particolare, sui casi in cui viene coinvolta anche la disabilità.

One billion rising for jiustice, 14 febbraio 2013, India


Sebbene negli ultimi anni l’attenzione collettiva riguardo al fenomeno della violenza sulle donne sia sensibilmente cresciuta, rimane ancora poco visibile la violenza rivolta alle donne con disabilità.
Per comprendere questo specifico aspetto del fenomeno, è necessario tenere presente che, essendo la violenza l’esercizio di un potere oppressivo, tale potere si esercita più facilmente nei confronti dei soggetti più vulnerabili, ed essendo le donne con disabilità (soprattutto quelle con disabilità psichica) più vulnerabili delle altre, esse risultano più esposte al fenomeno in questione.
A questa indicazione preliminare si devono aggiungere diverse ulteriori riflessioni inerenti la disabilità. Occorre considerare infatti che spesso le donne con disabilità sono vittime di una discriminazione multipla, ingenerata dall’essere simultaneamente sia donne che disabili. Alcune disabilità, poi, possono comportare dei limiti d’autonomia superabili solo attraverso un’attività di assistenza prestata da altre persone e quest’ultimo aspetto comporta che le persone con disabilità grave o gravissima si ritrovino costantemente “nelle mani altrui.
«Mani esperte, devote, mani disposte ma straniere. […] Mani materne, mani matrigne, mani benedette, mani maledette, mani necessarie, mani indispensabili! Mani! Mani! Inconsapevoli mani da cui spesso mi sento come scancellata, che del mio corpo leggono i bisogni, mai i desideri…», scriveva Paola Nepi, una donna con disabilità, nel monologo Le mani addosso (Firenze, Edizioni della Meridiana, 2012, pp. 18-19).
Questa circostanza fa sì che le persone con disabilità (sia gli uomini che le donne) possano essere vittime di forme di violenza specifiche, connesse alla dipendenza dal lavoro di cura. Prestare assistenza senza prestare attenzione alla persona è, ad esempio, una forma di violenza specificamente legata alla condizione di disabilità. Altri esempi sono l’essere considerati asessuati, l’essere guardati con commiserazione, venire ignorati, suscitare paura, l’essere considerati incapaci di vivere le situazioni tipiche dell’età adulta (lavorare, avere una vita amorosa/sessuale, divenire genitore), l’essere sottoposti a sterilizzazione forzata, la presunzione che la condizione di disabilità sia incompatibile con la felicità, la gioia, la bellezza e altri aspetti positivi della vita, ridurre la persona alla sua disabilità ecc.
Pertanto, quando si parla di violenza sulle donne, è importante integrare le consuete considerazioni che vengono generalmente fatte su questo fenomeno, con quelle specificamente connesse alla disabilità. Se ad esempio colui o colei che esercita la violenza è il caregiver [“assistente di cura”, N.d.R.] della donna con disabilità, non sarà sufficiente ospitare la donna in un luogo protetto, sarà anche necessario fornire un servizio di assistenza personale, e accertarsi che il luogo protetto sia privo di barriere.
La violenza sulle donne (disabili e non) è un fenomeno culturale, e per sradicarlo è necessario lavorare su un immaginario collettivo che tende ancora a negarlo o a giustificarlo. Per questo motivo non basta parlare di violenza, ma si deve anche prestare attenzione al linguaggio utilizzato e agli stereotipi comunemente associati alla violenza sulle donne, alle donne stesse e alle persone con disabilità (nel caso che la vittima di violenza sia una donna disabile).
Si deve sicuramente evitare di trasformare la lotta alla violenza in una guerra tra i sessi. Non è vero che gli uomini sono violenti e cattivi per natura, né, viceversa, che le donne siano per natura non violente, buone e abbiano ragione a prescindere. Uomini e donne sono sottoposti sin da quando nascono a un processo di socializzazione che definisce in modo rigido la femminilità e la mascolinità e i differenti ruoli ad esse associati. Finché quindi continueremo ad associare la femminilità alla dolcezza, alla docilità e alla disponibilità, e la mascolinità alla forza, all’irrequietezza e al dominio, ci esporremo al rischio di confondere la cultura con la natura, sino ad arrivare ad affermare che la violenza degli uomini sulle donne è fisiologica e immutabile perché connaturata all’essere maschi. Questo non è corretto, e chi parla di violenza deve stare bene attento/a a non veicolare questo tipo di messaggio.
È vero invece che spesso la violenza è ingenerata proprio dalla mancanza di corrispondenza tra le aspettative suscitate dagli stereotipi di genere appresi nel processo di socializzazione e la realtà. Dunque sono proprio gli stereotipi di genere quelli che devono essere cambiati (destrutturati) e, per fare questo, la collaborazione maschile non è solo auspicabile, è indispensabile.
Va inoltre contrastata la tendenza a raccontare gli episodi di violenza dal punto di vista dell’aggressore o del femminicida. Parlare di “delitto passionale”, o usare espressioni come «l’ha uccisa perché voleva lasciarlo», oppure «l’ha violentata perché aveva la minigonna», significa riproporre acriticamente il punto di vista maschile, suggerendo una lettura che tende a giustificare l’atto violento (“se lei non avesse provato a lasciarlo, sarebbe ancora viva”; “se lei non si vestiva in un dato modo, non sarebbe successo niente”…).
Tali espressioni rafforzano l’idea – sbagliata ma ancora molto diffusa – che i delitti e la violenza abbiano qualcosa a che fare con l’amore e la passione, e che la vittima abbia delle corresponsabilità negli eventi che l’hanno trasformata in un bersaglio di violenza.
Sbagliato è anche raccontare la violenza sulle donne ricorrendo a espressioni come “raptus” o “follia”, non solo perché quelli che vengono descritti nelle cronache dei media come episodi estemporanei sono spesso il momento culminante di una violenza ripetuta e crescente, ma anche perché quelle parole negano la matrice culturale della violenza sulle donne e sono deresponsabilizzanti (se nel momento in cui si è verificato il fatto l’aggressore non era in sé, perché colto da un raptus o da follia improvvisa, tutto sommato non è così colpevole, e neppure tanto responsabile).
È dunque importante che chi parla di violenza sulle donne privilegi il punto di vista della donna, raccontando qualcosa di lei, chiamandola per nome (ove è possibile), o comunque con pseudonimi che ne sottolineino l’individualità, e non con espressioni come “la moglie”, “la fidanzata”, “la compagna”, “la sorella”, “la figlia”, “l’amica”, o “l’ex moglie”, “l’ex fidanzata”, “l’ex compagna”, ecc.
Le violenze più frequenti avvengono in famiglia. Anche nel caso in cui la vittima di violenza (o di femminicidio) sia una donna con disabilità, occorre evitare di presentarla in modo passivo o pietistico: è vero che ha subito violenza, ma va sottolineato che lei è una persona con dei diritti, resa più vulnerabile dalla mancanza di servizi adeguati e da quel pregiudizio che considera ancora la famiglia come il luogo più sicuro e i familiari i soggetti più adatti a prestare assistenza a una persona con disabilità. Non è detto invece che i familiari siano sempre i soggetti più adatti: spesso sono semplicemente gli unici disponibili. La mancanza o la scarsità di opzioni alternative alla famiglia e ai caregiver familiari rende pertanto più problematica la risoluzione delle situazioni in cui la vittima di violenza è una donna con disabilità.
Va inoltre tenuto presente, anche se dovrebbe essere più raro, che talvolta quella che subisce violenza è proprio la caregiver, sottoposta a continue manipolazioni e ricatti affettivi agiti dalla persona con disabilità (in genere maschio, ma non necessariamente).
E ancora, una riflessione specifica andrebbe fatta sulle donne ricoverate negli istituti, luoghi nei quali i rapporti di potere tra il personale e gli/le ospiti sono talmente sbilanciati da far crescere in modo esponenziale il rischio di violazione dei diritti umani, di discriminazione e di violenze di ogni tipo.
Secondo un rapporto del Parlamento Europeo di qualche anno fa, circa l’80% delle donne con disabilità istituzionalizzate sono esposte a rischio di violenza. Una corretta divulgazione su questi temi non può pertanto prescindere da una conoscenza generale del fenomeno della disabilità, e dello specifico contesto in cui si è svolto l’episodio di violenza. Riportare, quando sono disponibili, dati e statistiche, o fare collegamenti con episodi simili (magari chiedendo supporto all’associazionismo di settore), è utile a descrivere l’ampiezza e le caratteristiche del fenomeno.
Un aspetto della comunicazione sul quale anche le associazioni di donne commettono – sia pure in buona fede – frequenti errori è quello delle immagini. È infatti abbastanza facile vedere campagne contro la violenza sulle donne che mostrano corpi e volti di donne tumefatti, donne in atteggiamento difensivo che si riparano in qualche modo, donne spettinate ridotte in un angolo con i vestiti strappati ecc.
Anche riguardo a queste immagini si può osservare che esse mostrano ciò che – presumibilmente – vede l’aggressore, e non il punto di vista della donna aggredita. In secondo luogo, come ha ben illustrato Giovanna Cosenza, docente di Semiotica presso l’Università di Bologna) in numerose occasioni, «non si combatte la violenza con immagini che la esprimono. Né si fanno uscire le donne dal ruolo di vittime se si insiste a rappresentarle come vittime.» (G. Cosenza, «Stai zitta, cretina». E come sempre, le campagne contro la violenza esprimono violenza, in «Dis.Amb.Iguando», 24 novembre 2011).
Un altro errore frequente è quello di scegliere come testimonial contro la violenza solo donne belle, come se per promuovere una causa fosse necessario utilizzare la bellezza, o come se a subire violenza fossero solo le donne avvenenti. Non è così. Paradossalmente si potrebbe suscitare l’effetto di rendere la violenza seducente, o di rafforzare il pregiudizio secondo cui le donne che non corrispondono a certi canoni estetici non siano toccate da questo fenomeno.
Forse bisognerebbe provare ad uscire dai binari delle immagini scioccanti o seducenti, incentrandosi di più sulla narrazione (molto interessante, sotto questo profilo, è Ferite a morte, il progetto teatrale realizzato recentemente da Serena Dandini), oppure spostando l’attenzione sull’aggressore (che è ancora poco rappresentato), o, ancora, su un simbolismo inconsueto: come non emozionarsi davanti a One billion rising for justice, la danza globale promossa da Eve Ensler?
Realizzata anche in molte città d’Italia lo scorso 14 febbraio, questa danza ha permesso che migliaia di donne e di uomini insieme potessero esprimere un no collettivo alla violenza utilizzando tutto il corpo. Gioia e vitalità contro la violenza: geniale!
Infine, nel raccontare i dettagli delle violenze, è importante essere chiari, completi e precisi, ma non scadere nel morboso e nel sensazionalistico. Occorre inoltre, ed è importantissimo, prestare attenzione alla riservatezza della vittima e, dunque, evitare di rivelare particolari che potrebbero renderla riconoscibile (nei casi in cui è richiesto l’anonimato), e rintracciabile (qualora sia accolta in un luogo protetto).
Sulla comunicazione e la divulgazione in tema di violenza sulle donne sono state scritte molte cose interessanti. Quelli indicati sono solo dei cenni utili ad aprire una riflessione che meriterebbe ulteriori approfondimenti. Non sappiamo ancora quale sia il modo migliore per raccontare la violenza, quel che è certo è che essa va raccontata, perché solo raccontandola la renderemmo visibile, ne acquisiremmo consapevolezza, e potremmo prevenirla efficacemente.

domenica 24 novembre 2013

Lettera di un bimbo portatore di handicap alla sua mamma...




Cara Mamma,
lo so che non è stato facile... ma ti voglio raccontare una cosa, che forse non sai.
Ogni anima, prima di incarnarsi, sa già quale percorso deve compiere, così anch'io sapevo che sarei nato per vivere un certo tipo di esperienza. Lo sapevi?
Ci sono anime più e meno evolute, ma adesso non pensare quello che viene più logico... non è proprio così. La scelta di nascere e vivere un'esistenza, diciamo "difficile", è una scelta dura e faticosa, ma anche una scelta d'amore che solo anime molto sensibili ed elevate possono possono permettersi di fare.

Non riesci a spiegartelo? Non è facile da capire, non tutto è semplice, ma credimi, non è la manifestazione fisica che conta... e tu sai che la mia è un'anima pura e bellissima: questo conta, questo lo hai capito subito dalla prima volta che mi hai preso tra le braccia... Del resto ognuno di noi si sceglie i genitori, ed io vi ho cercati e vi ho trovati, che bello!
Dovevo essere sicuro di essere accettato e amato completamente, dovevo trovare due persone così stupendamente... insomma voi due.

Spero ti faccia piacere sapere che stai svolgendo un compito superiore, che non è da tutti, che ti viene affidato dal cielo. Sai, alcune mamme, non tu lo so, vivono questa esperienza male, quasi come una punizione e non sanno che è un premio da un "essere" che ha tutta la capacità e l'amore per vivere un tipo di esperienza così delicata e a volte faticosa, ma che sa dare momenti così unici che non è possibile descrivere... però io e te li conosciamo, vero mamma? Non si possono spiegare con le parole, ma solo con le emozioni... e con le energie sottili che si scambiano.


Mamma, come vorrei che tu riuscissi a comunicarlo a tutte quelle persone che ignorano la danza delle nostre varire esistenze... ma per ora non importa, mi basta averlo comunicato a te, che in fondo lo sapevi già... ma volevo darti una conferma della tua intuizione. Noi tutti siamo esseri di luce, che ogni tanto scendono sulla terra ad imparare una "pagina" di lezione. Le nostre due luci sono così simili che si sono riconosciute, tu sei nata per aspettarmi ed io sono arrivato, tutto come era scritto: con una penna dall'inchiostro dorato.


Ti abbraccio, mamma, ti ringrazio e di essere come sei e di darmi tutto il tuo amore. Non preoccuparti mai, stai già facendo tutto, abbi solo fiducia quanta io ne ho in te e continuiamo la nostra danza, con la musica che gli Angeli hanno composto solo per noi.

Ti amo, mi ami... perché l'amore è la risposta ad ogni cosa.

il tuo bambino

(Tratto da: "Fiori di Bach per bambini" di Barbara Mazzarella)
Barbara Mazzarella

venerdì 15 novembre 2013

Un deprecabile atto di inciviltà… per un parcheggio in più

foto MolfettaLive.it

di Alfonso Balducci - Appoggiati a Me

L’impegno quotidiano e determinato del Comitato “Appoggiati a Me” comincia a dare i suoi frutti. Ci ha fatto molto piacere l’articolo apparso ieri, 14 novembre, sulla testata giornalistica on line MolfettaLive.it nel quale è stata denunciata la presenza di bidoni per la raccolta differenziata lungo un marciapiede in Via XX Settembre proprio davanti a uno scivolo per disabili. Ci ha fatto piacere per due motivi. Il primo è che apprezziamo l’attenzione dei media quando puntano i loro riflettori sui diritti violati, specie se le vittime sono i cittadini più deboli. Il secondo motivo che, non lo nascondiamo, ci inorgoglisce è nell’essere stati inaspettatamente citati positivamente in questo passaggio:
[…] “A Molfetta, alcuni mesi fa, è anche nato “Appoggiati a Me”, un Comitato formato da liberi cittadini direttamente coinvolti o interessati al problema della disabilità. Lo stesso si propone di ascoltare le problematiche, raccogliere le esigenze e progetti possibili e fare da cassa di risonanza presso le Istituzioni locali.

Come loro, MolfettaLive, come testata giornalistica locale, sente il dovere di alzare il livello di attenzione davanti a problemi di questa rilevanza e confida in un pronto intervento da parte dell’Azienda Servizi Municipalizzati e dell’Amministrazione Natalicchio. L’appello è rivolto al nuovo Presidente dell’ASM Antonello Zaza, al Direttore Ing. Binetti ed al Sindaco Paola Natalicchio.

Come sostenuto dal suddetto Comitato, la voce dei disabili e delle famiglie deve avere voce in capitolo, perché i diretti interessati vivono giorno dopo giorno, anno dopo anno la disabilità ed hanno la chiara e netta consapevolezza di quali siano i servizi essenziali, i progetti possibili, gli sviluppi ipotizzabili per garantire il miglioramento della qualità della vita del disabile.”
A noi è sembrato un incoraggiante riconoscimento per il nostro lavoro che ci sprona a intensificare i nostri sforzi per tutelare sempre più efficacemente i disabili e le loro famiglie.

Ma una nostra valutazione sull’increscioso episodio denunciato nell’articolo la vogliamo fare. Nell’articolo sembra ipotizzarsi una diretta responsabilità della ASM nell’aver volontariamente posizionato i bidoni davanti allo scivolo per disabili. Questa cosa sentiamo di escluderla per la semplice ragione che la ASM ha individuato per quei bidoni una zona delimitata da una striscia gialla (vedi foto in basso) che non intralcia minimamente il passaggio per i disabili. Quello che più probabilmente è accaduto è che i bidoni siano stati arbitrariamente spostati da qualche automobilista incivile col fine di ricavare un posto auto in più per la propria vettura. Un atto deprecabile che va condannato e sanzionato senza esitazione. Sarebbe anche grave se gli operatori ecologici, accortisi dello spostamento dei bidoni, non abbiano provveduto immediatamente a rimetterli al loro posto e chiamato la polizia municipale per far elevare una multa all’automobilista indisciplinato oltre che a rimuovere forzatamente il mezzo.

Comitato "Appoggiati a Me"
foto Maria Cappelluti - Comitato "Appoggiati a Me"

Noi ignoriamo da quanto tempo quei bidoni fossero nella posizione visibile nella foto pubblicata da MolfettaLive.it, ma la cosa che possiamo dire dopo un nostro sopralluogo avvenuto stamattina, è che la situazione è tornata alla normalità (come visibile nella foto qui sopra). Ovviamente vigileremo affiché questo abuso non venga a ripetersi in futuro né qui né altrove.

Riguardo infine al rispetto degli scivoli sui marciapiedi per i disabili, consapevoli del problema e mossi da spirito collaborativo, stiamo elaborando una nostra proposta che porteremo presto all’attenzione dell’amministrazione che, siamo certi, la valuterà con la dovuta attenzione.

mercoledì 13 novembre 2013

Contattaci... stiamo aspettando te



di Arianna Altamura - Appoggiati a Me


“Appoggiati a Me” è un Comitato nato nel 2013 e formato da liberi cittadini direttamente coinvolti o interessati al problema della disabilità.  
Il Comitato si propone in prima istanza di ascoltare le problematiche, raccogliere le esigenze e progetti possibili, fare da cassa di risonanza presso le Istituzioni locali. È un’iniziativa degna di grande rilevanza, mai fino ad oggi aveva trovato spazio nei tavoli istituzionali la voce dei “direttamente interessati”. 
Finora molti genitori di bambini disabili e molti disabili stessi hanno costituito una GRANDE MASSA SILENTE e frammentata, che ha vissuto ogni  problema legato alla disabilità nella solitudine dei propri nuclei familiari.  
La famiglia di un disabile affronta quotidianamente le più svariate situazioni (a volte neanche di difficile soluzione) approcciandosi ora con l’ASL, ora con la Scuola, ora con i Servizi Sociali. 
Spesso lotta con una burocrazia lenta, oppure si sobbarca l’onere economico di terapie private - che sopperiscono alle liste d’attesa di un SSN che nonostante l’impegno degli operatori è logorato dai tagli alla spesa. Molte volte vive in funzione di continui spostamenti e frequenti ricoveri.  
Questa è la “nostra normalità”, la nostra quotidianità. 
Oggi il Comitato “Appoggiati a me” vuole dar voce a queste famiglie e farle diventare insieme una GRANDE MASSA PARLANTE.  
La voce dei disabili e delle famiglie deve avere voce in capitolo nei raporti istituzionali, perché i diretti interessati che vivono giorno dopo giorno, anno dopo anno la disabilità hanno la CHIARA e NETTA CONSAPEVOLEZZA di quali siano i servizi essenziali, i progetti possibili, gli sviluppi ipotizzabili per garantire IL MIGLIORE SERVIZIO POSSIBILE per i diversamente abili 
Con un unico obiettivo: il miglioramento della qualità della vita del disabile. 

Per contatti:
e-mail:appoggiati.ame@libero.it
Ci trovi su fb nel gruppo e pagina "Appoggiati a me"

lunedì 11 novembre 2013

Prima convocazione del comitato "Appoggiati a Me" presso l'Assessorato alle politiche sociali



di Maria Cappelluti - Appoggiati a Me


Lo scorso 7 novembre 2013 il Comitato per la tutela dei Disabili “Appoggiati a Me” ha protocollato la sua prima richiesta scritta al Comune di Molfetta. 
L’istanza riguardava sia la possibilità di un rimborso spese carburante per le famiglie costrette a portare i propri figli presso Centri Riabilitativi fuori dalla nostra città, sia la possibile gratuità dell’ingresso presso la Piscina Comunale di Molfetta per bambini disabili che vi frequentano lezioni terapeutiche. 
Anzitutto siamo rimasti piacevolmente colpiti dalla celere risposta da parte dell’Assessorato alle Politiche Sociali, che ha immediatamente voluto incontrare una nostra delegazione. 
L’incontro si è svolto perciò il giorno dopo - 8 novembre-  in un clima cordiale e proficuo. 
Abbiamo potuto iniziare ad affrontare sia le richieste specifiche ma anche altri temi direttamente legati alle problematiche più urgenti per i  disabili e per le loro famiglie. 
Possiamo senz’altro ritenere questo primo incontro davvero soddisfacente, perché abbiamo trovato un interlocutore istituzionale attento e pronto a collaborare fattivamente per il raggiungimenti dei nostri obiettivi. 
Dopo il precedente positivo incontro col Sindaco al “Question Time” presso Comitando, una nuova occasione di ottimo confronto: abbiamo la sensazione che il Comitato col passar del tempo stia acquistando la giusta fiducia da parte dell’Amministrazione, e cercheremo di continuare nelle nostre piccole battaglie di civiltà. 
Noi che viviamo quotidianamente il problema della disabilità in ogni suo aspetto, ci riproponiamo di collaborare con le Istituzioni proponendogli soluzioni ottimali e spesso anche meno dispendiose per la collettività, ottenendo il meglio dai servizi esistenti e proponendone di nuovi. 
Il nostro unico scopo resta migliorare la qualità di vita dei disabili, perché investire sulla riabilitazione, e sul fargli raggiungere la maggior autonomia possibile significherà anche renderli meno dipendenti dagli altri in futuro. 

lunedì 4 novembre 2013

Molfetta, falsi ciechi: due fratelli denunciati per truffa

Le indagini della Gdf erano partite dopo un'analisi preliminare degli elenchi di quanti percepiscono indennità di accompagnamento perché risultano ciechi assoluti.

Molfetta, falsi ciechi: due fratelli denunciati per truffa

di Renato Marino - Crimeblog.it

Prendevano la pensione d’invalidità civile e l’indennità di accompagnamento perché risultavano totalmente ciechi. Eppure - secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza di Molfetta - erano tranquillamente in grado di guidare l’auto e fare tutta una serie di cose impossibili per un non vedente: accompagnavano i figli a scuola, facevano la spesa scegliendo i prodotti sugli scaffali, scendevano agilmente le scale e così via. Insomma falsi ciechi.
Parliamo di due fratelli di Molfetta, nel barese, entrambi 50enni. Sono stati denunciati per truffa dalle Fiamme gialle e a loro carico è stato emesso un provvedimento di sequestro per equivalente di circa 140mila euro - in immobili, terreni e conti correnti bancari. Cifra corrispondente all’importo percepito indebitamente.
Uno dei due fratelli da dieci anni ormai prendeva pensione e accompagnamento, l’altro “solo” da sei anni, da quando cioè il suo campo visivo era stato diagnosticato estinto.
I fratelli infatti erano riusciti prima a ottenere dall’Inps una invalidità civile parziale, poi quella totale, con tanto di accompagnamento. Senza averne nessun diritto, ragion per cui ora dovranno restituire il maltolto. Le indagini sono state condotte dalla procura della Repubblica di Trani dopo un’analisi preliminare degli elenchi di quanti prendono indennità di accompagnamento in quanto ciechi assoluti.
© Foto TM News

domenica 3 novembre 2013

Il Comitato "Appoggiati a Me" presente al Terzo Piano Sociale di Zona



di Maria Cappelluti e Tommaso Gallo - Appoggiati a Me


Martedi 29 ottobre abbiamo partecipato al nostro primo tavolo istituzionale, relativo al 3° Piano di Zona per gli anni 2014-2016.

Da quanto ci risulta è stata quasi una presenza rivoluzionaria, perché per la prima volta i rappresentanti di disabili e i loro genitori hanno partecipato senza intermediazione alla redazione di un piano così importante per le politiche sociali del nostro territorio.

L’incontro di martedì è stato positivo sotto alcuni aspetti ma interlocutorio sotto altri.
Quello che ci è parsa da subito critica è la mancanza di informazione proprio per chi dovrebbe usufruire di certi servizi: associazioni e prestazioni di cui i genitori ignorano l’esistenza, esigenze di cui spesso nessuno sa nulla. Questo solo per far comprendere quanto siano ancora gravi le carenze nella nostra città su argomenti molto delicati e come sia minato il campo in cui vorremmo intervenire.


Ci siamo resi conto che la disabilità viene vista molto spesso solo dal punto di vista della non autosufficienza degli anziani: tranne il nostro intervento nessuno ieri sul tavolo specifico “Anziani e Disabilità” ha citato l’annosa questione dei bimbi disabili e delle loro famiglie, come se i servizi fossero già perfetti e nulla di più vada fatto.

Forse il tavolo è stato inteso male dalle associazioni ed enti coinvolti oppure abbiamo frainteso noi il senso del tavolo? Ci siamo sentiti più volte fuori luogo perché il tavolo era incentrato più sull’anziano disabile che su anziani e disabilità. A volte una semplice vocale può cambiare le cose.

 Nessuno forse ha capito che investire risorse su un bimbo disabile ben curato e trattato può diventare un adulto disabile più autonomo, e questo ovviamente andrebbe a ripercuotersi positivamente su tutto il sistema sanitario e su tutta la comunità.
Cambiare le cose, i modi di pensare, di vedere non si può… si deve!

Oggi più che mai i tagli alla spesa pubblica stanno andando maggiormente a colpire i più deboli e soprattutto indifesi e questo non lo possiamo accettare nel modo più assoluto.
Noi ci siamo e questo tutti lo devono sapere!
Riportiamo qui sotto fedelmente il nostro intervento letto durante l’incontro, che denota la nostra volontà propositiva e collaborativa per il futuro.


Intervento del Comitato “Appoggiati a Me” per il tavolo tematico di concertazione del 3° Piano Sociale di Zona Molfetta-Giovinazzo


Facciamo parte del Comitato “Appoggiati a Me” formato da genitori di persone disabili, nonché da disabili adulti e cittadini comuni sensibili a tale tematica.
Abbiamo deciso di costituirci quando ci siamo resi conto che avevamo tutta una serie di esigenze comuni non adeguatamente soddisfatte dai servizi pubblici a disposizione.
Ognuno di noi vive una realtà fatta di impegno totale e piccole e grandi difficoltà quotidiane: ci dedichiamo al miglioramento della qualità di vita dei nostri figli per i quali in moltissimi casi c’è bisogno dell’assistenza in ogni atto quotidiano. Ci teniamo a sottolineare questo in sede preventiva per sgomberare il campo da equivoci o possibili sovrapposizioni con altre realtà del terzo settore già esistenti sul territorio.

Il nostro scopo è quello di porre all’attenzione delle autorità competenti la propria esperienza diretta ed i propri bisogni per cercare di evitare inutili interventi a pioggia e magari contribuire a creare interessanti presupposti occupazionali ed economici per realtà collegate e per il Comune stesso.
Investire migliorando le possibilità riabilitative di un  bimbo disabile porterà ad un adulto disabile il più autonomo possibile, con vantaggi per tutta la comunità.
Abbiamo perciò sintetizzato una serie di criticità ed aree importanti su cui Comune, ASL, Enti  e Famiglie potrebbero collaborare, favorendo la fruizione di servizi indispensabili di riabilitazione e miglioramento della qualità della vita :

  1. Istituzione di un fondo a favore della fruizione di corsi di Idroterapia, Ippoterapia, Logopedia, Psicomotricità
  2. Interventi a sostegno dell’abbattimento delle barriere architettoniche nei condomini e abitazioni
  3. Introduzione di figure terapeutiche specializzate che  ad oggi mancano nel centro riabilitativo di Molfetta, cosa che costringe molte famiglie a lunghi tragitti giornalieri per effettuare le terapie necessarie ai propri bimbi; alle stesse famiglie sarebbe nel frattempo necessario riconoscere un rimborso spese carburante
  4. Maggiore attenzione alle situazioni gravissime che richiedono Assistenza domiciliare specializzata anche solo per poche ore giornaliere.
  5. Interventi per l’inclusione sociale, soprattutto scolastica
  6. Unica sede riabilitativa
  7. Sensibilizzazioni varie
  8. Aiuto psicologico ai genitori
Questa importantissima occasione odierna di partecipazione democratica e di condivisione delle scelte future è una grandissima opportunità per migliorare sia la vita quotidiana del disabile stesso sia quella di chi lo assiste ma anche per mirare gli investimenti della Comunità.
Vogliamo sperare che queste opportunità vengano colte.