domenica 26 gennaio 2014

Il giorno della memoria, per non dimenticare....




Oggi 27 gennaio 2014, 
per il giorno della memoria,
il Comitato “Appoggiati a Me
 per la tutela dei diritti dei disabili
ricorda il sacrificio ed il martirio di migliaia 
di vittime innocenti disabili e non,
in nome di una pazzia collettiva chiamata
selezione della razza ariana”.


Maria Cappelluti







Progetto T4: lo sterminio dei disabili
a cura di Michele Pacciano


Forse non tutti sanno che il genocidio nazista cominciò proprio dai disabili. Le persone handicappate, minori e adulte, furono le prime cavie designate di tutte le tecniche di annientamento, sterilizzazione e eutanasia sviluppate poi nella Shoah. Le prime prove documentali degli orrori nazisti, riguardarono proprio la persecuzione e i campi di uccisione dei disabili, anticamera dell’universo concentrazionario. Come vedremo le campagne di sterilizzazione, internamento e deportazione delle persone handicappate, presero il via nei mesi immediatamente successivi all’ascesa di Hitler, trovando terreno fertile nelle teorie eugenetiche e nella difesa della razza.
Dopo un’intensa campagna di sterilizzazione, si passò all’uccisione sistematica dei bambini disabili, cui è dedicata una larga parte di questa ricerca, in quanto uno degli aspetti più oscuri dell’olocausto. Il progetto T4, l’eutanasia di massa degli adulti disabili, che condusse alla morte circa 70.000 cittadini tedeschi, iniziò solo nel 1939, per interrompersi poi, ma solo formalmente, su pressione dell’opinione pubblica e delle Chiese, nell’agosto del 1941. Con l’estendersi dei fronti di guerra, lo sterminio dei disabili non risparmiò certo i Paesi occupati, con drammatici strascichi anche in Italia, come testimonia la deportazione dei disabili ebrei internati negli ospedali psichiatrici di Venezia, deportati ad Auschwitz-Birkenau. Perché nella tragedia di ognuno, si ritrova la Storia di tutti.

Sono passati 56 anni dalla Liberazione, ma la Shoah non è poi così lontana. Solo un anno fa in Austria si è celebrato l’ultimo processo contro il dottor Henrich Gross, psichiatra di Vienna, già citato nella ricerca, accusato di aver effettuato oltre 300 esperimenti usando bambini disabili come cavie umane. E’ di questi giorni la notizia che, anche in Italia, un’apposita commissione sta quantificando i risarcimenti dovuti alle vittime dell’olocausto, tra le quali rientrano, a pieno titolo, anche le persone disabili che abbiano patito persecuzioni. Il risarcimento, per quanto simbolico, potrà dare dignità a tutte quelle "Persone" che la gli artefici della Shoah avevano preteso di cancellare con "Più" o con un "Meno".

Lo sterminio dei disabili, scenario e modalità

Lo sterminio dei disabili, non fu solo la parte scura e misconosciuta dell’olocausto. L’eliminazione sistematica di più di settantamila handicappati da parte del Terzo Reich fu la fase iniziale della Shoah, una sorta di macabra prova generale di quello che sarebbe poi accaduto ad ebrei e zingari.
La presa di potere da parte dei nazisti, il 30 Gennaio 1933, pose le condizioni per una politica di epurazione e soppressione a difesa della razza, ma le teorie eugenetiche alla base del progetto, non erano certo nuove. La difesa della razza non è un parto della sola filosofia tedesca, ma affonda le sue radici nelle teorie sull’ereditarietà e sull’evoluzione della specie, che animò tutto il diciannovesimo secolo e i primi anni del ventesimo, con importanti contributi che vennero soprattutto dalla scuola americana di Princeton e da una attualizzazione delle teorie lombrosiane. A Lombroso si deve, infatti, una prima classificazione degli esseriinferiori, mutuata poi dal nazismo.
La Germania di Hitler fu dunque il terreno di coltura dove queste teorie prosperarono e si attuarono. Le prime vittime furono i disabili. Le tecniche di annientamento, attraverso i vari stadi dell’ostracismo, internamento, deportazione ed eliminazione fisica, furono primaprovate su portatori di handicap fisici e mentali per essere poi essere attuati su larga scala.
Il 14 Luglio 1933, a pochi mesi dalla presa di potere, Hitler emanò la famosa legge sulla sterilizzazione, che entrò in vigore per tutto il Reich solo il 25 Luglio dello stesso anno, per motivi eminentemente politici.
Il 14 Luglio, infatti, il Reich aveva firmato un accordo economico con il Vaticano.
La promulgazione della legge sulla sterilizzazione avrebbe quindi potuto incrinare i rapporti con la Santa Sede.
L’attuazione della campagna contro i disabili, si avvalse anche di una serie di regolamenti emanati su base regionale cui fece seguito, il 18 Ottobre 1935, la legge sulla salute coniugale, che impediva i matrimoni e la procreazione tra persone disabili, favorendo una serie di pratiche abortiste, previo consenso della donna, per quei soggetti affetti dalle seguenti patologie:
  1. Frenastenia congenita
  2. Schizofrenia
  3. Folie circulaire
  4. Epilessia ereditaria
  5. Ballo di San Vito ereditario
  6. Cecità ereditaria
  7. Grave deformità fisica ereditaria
  8. Alcolismo grave (su base discrezionale)
A capo di tutta l’operazione, articolata in base a denunce di ospedali e case di cura, fu posto, su espressa menzione del Furher, il medico generale del Reich, Gherard Wagner, sostituito negli ultimi mesi del 1938 dal suo vice Leonardo Conti, patologo di chiara origine italiana e convinto assertore della superiorità della razza.
Le pratiche di sterilizzazione venivano inoltrate dai singoli ospedali ad una specifica commissione territoriale composta da medici e membri del Partito, che ne vagliava la positività. Se si guarda a un dato statistico, ci si accorge come le donne fossero in maggioranza rispetto agli uomini e le pratiche di sterilizzazione fossero improntate più a un criterio di utilità sociale che a una vera e propria difesa della razza.
A questo proposito appare calzante l’esempio della diagnosi effettuata su Erwin Ammann, maschio ventottenne del Tirolo, incluso nella categoria delle persone asociali e proposto per la sterilizzazione. Il test su Ammann dette esito negativo e un funzionario della commissione riuscì a provare l’utilità sociale del soggetto, rivelando la sua effettiva capacità lavorativa e la possibilità di svolgere mansioni manuali complesse. Questo a riprova della effettiva discrezionalità delle commissioni esaminatrici. Ciò nonostante tra i soggetti proposti per la sterilizzazione, guardando il dato relativo agli anni tra il 1933 e il 1938, solo il 7,2% delle domande fu respinto, salvo la possibilità di appello degli ospedali richiedenti.
Il 1938 segna comunque uno spartiacque nella politica eugenetica nazista. Se si assiste ad un primo picco delle sterilizzazioni dovuto alla campagna espansionistica di Hitler, dopo l’annessione dell’Austria e dei Sudeti, si assiste anche all’inizio di quell’operazione di eutanasia collettiva, tenuta strettamente segreta, e partita direttamente dalla cancelleria privata del Furher, che culminerà nel 1939 con l’inizio del famigerato progetto T4.

sabato 25 gennaio 2014

"Braccialetti rossi", storie di piccoli malati. L'inno alla speranza.






Giacomo Campiotto  ha girato la serie tv che andrà in onda a partire dal 26 gennaio 2014 alle 21.00 su RaiUno. "La società nasconde la malattia", spiega il regista, "noi raccontiamo la lotta di un gruppo di ragazzi uniti per un'unica causa: guarire". La fiction è scritta da Sandro Petraglia ed è tratta da un format catalano


FASANO (Brindisi) - Guarire per Cristina, anoressica, vuol dire finire gli spicchi di mela nel piatto: "Se non mangi sei una strana, ma se non dormi nessuno si preoccupa di te". Leo combatte il cancro, ha perso una gamba e dà coraggio agli altri, il piccolo Rocco è in coma, ma è la sua voce ("Quelli che stanno bene vanno avanti come se al mondo non ci fossero persone malate"), a guidarci nell'ospedale pediatrico. Il sole filtra dalle vetrate del Ciasu (Centro universitario alti studi universitari), fantastica struttura tra gli ulivi praticamente abbandonata, set diBraccialetti rossi la serie (a gennaio su RaiUno) che Giacomo Campiotti gira a Fasano. 

"La società nasconde la malattia, dobbiamo essere perfetti, vincenti" racconta il regista "la nostra è una storia di amicizia e speranza che vede protagonisti bambini malati. Non è ricattatoria, è ricattatorio porre dei tabù. È una favola con sei ragazzi uniti nella stessa battaglia, guarire. Perché la vita è più forte di tutto: i genitori hanno paura delle parole, i ragazzi chiamano le cose col loro nome. I braccialetti che indossano sono il loro segno distintivo". Commovente, tenera e a tratti comica, la serie prodotta da Carlo degli Esposti (con RaiFiction e il sostegno di Apulia Film Commission), è la versione italiana di Pulseras rojas: "Per la prima volta una fiction catalana" spiega il produttore "è stata trasmessa dalla tv di stato spagnola ottenendo un successo straordinario. I diritti per gli Stati Uniti sono stati acquistati da Steven Spielberg, l'adattamento per la Abc sarà curato da Marta Kauffman, autrice di Friends".

Scelti fra tremila facce, i sei ragazzi protagonisti sono belli e veri: Carmine Bruschini è Leo, "il leader", Brando Pacitto è Vale il "vice leader", Aurora Ruffino (già attrice in Bianca come il latte, rossa come il sangue) è Cristina, "la ragazza"; Pio Luigi Piscicelli è Toni "il furbo", Mirko Trovato è Davide "il bello" e Lorenzo Guidi, 11 anni, interpreta Rocco "l'imprescindibile". La musica lega le storie, dal rap di Emis Killa (Lettera dall'inferno), a Tiziano Ferro, Emma, Niccolò Agliardi che canta Io non ho finito. 
"Questo lavoro l'ho preparato con molto affetto e partecipazione" dice lo sceneggiatore Sandro Petraglia "qualche anno fa forse non avrei saputo scriverlo, devono esserti accadute un po' di cose, aver cresciuto i figli con tutte le ansie. Raccontiamo gli anni in cui la vita è nel suo massimo splendore - anche se chi la vive non lo sa - gli entusiasmi, i sogni, le utopie, le prime volte, le angosce che si porta dietro l'adolescenza. Solo che tutta questa vita è racchiusa in un posto dove si può morire". 

Di Silvia Fumarola


www.repubblica.it

venerdì 24 gennaio 2014

Disabilità, una madre: “Istituzioni indifferenti, a volte vessatorie"




Dopo la denuncia del giornalista Gianluca Nicoletti, che in un’intervista ha annunciato il “bisogno di scrivere un altro libro”, si leva la voce di altre famiglie. Marina Cometto, mamma di una donna gravemente disabile: “In tanti subiamo, ma in pochi denunciamo"

21 gennaio 2014
ROMA – “Amiche-nemiche, assolutamente indifferenti, a volte vessatorie”: così Marina Cometto, mamma di una donna gravemente disabile, vede e sente le istituzioni. Un problema che osserva con attenzione e costanza e con cui continuamente si scontra, da quando, ormai 40 anni fa, nacque sua figlia. “Anche io ho deciso di raccontare tutto questo in un libro – annuncia, prendendo spunto dalla denuncia di Gianluca Nicoletti, il giornalista e papà di un ragazzo autistico, che proprio in questi giorni, “dopo l’ennesimo caso di abbandono subito da mio figlio Tommy”, ha messo mano al suo secondo libro.
Un rapporto complicato, quindi, quello tra le famiglie di disabili e le istituzioni che dovrebbero sostenerle nella fatica quotidiana dell’assistenza e dell’inclusione. Una fatica che, proprio prendendo spunto dal “bisogno di denuncia” espresso da Nicoletti, anche altri oggi prova a raccontare. “Moltissime famiglie con disabilità si sentono abbandonate e vivono esperienze come quella raccontata recentemente da Nicoletti – spiega Cometto – ma solo poche sono disposte a denunciare. Hanno paura: non so di cosa, ma hanno paura…”.
Ma quali sono i casi più frequenti in cui questa “inimicizia” delle associazioni si manifesta? Abbiamo chiesto ad alcune mamme, di solito principali e fondamentali “caregiver” dei ragazzi (e ormai anche degli adulti) con disabilità, di raccontarci alcune esperienze.
A rompere il ghiaccio è proprio Marina Cometto, che tra i tanti casi che le vengono in mente, sceglie di raccontarci il più recente: “In questi giorni sono impegnata come madre e come tutrice a far rispettare i diritti di mia figlia sul fronte medico-legale Secondo la logica, ma anche secondo un principio di giustizia e democrazia, se un farmaco integratore è prescritto da un Centro di riferimento riconosciuto dall’Iss (Istituto superiore di Sanità)  come 'necessario', allora dovrebbe essere fornito gratuitamente dalla Asl. Invece, sebbene anche il centro di malattie rare regionale che segue Claudia abbia dato parere favorevole, il servizio farmaceutico ospedaliero oppone il suo rifiuto, perché il Dm del 2001 (“Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie”, ndr) non lo nomina. Non si rendono conto che 12 anni fa quel prodotto non era conosciuto per gli effetti positivi su questa patologia? Non ricordano che di fatto la sanità è ormai gestita a livello regionale? Hanno paura di prendersi responsabilità, si cibano di burocrazia e condannano i pazienti e le loro famiglie a spese spesso insostenibili. Nel giro di una settimana, presenterò ricorso: ci costringono a questo, a una vita piena di ostacoli e di carta bollata”.
Al problema delle cure sanitarie, si aggiunge quello dell’assistenza, che pesa in grandissima parte sulle famiglie: “Ogni famiglia è abbandonata a se stessa – denuncia Maria Polizzi - a meno che non stia economicamente così bene, da potersi permettere un aiuto. Quando per una disabilità gravissima, che richiede un'assistenza 24 ore su 24, le istituzioni ti offrono 15 ore settimanali (ma c'è anche chi ha meno ore?), tutto pesa sulla famiglia. Questa, in nome di quel sentimento d'amore con cui si lega al figlio/a, è così costretta a rinunciare ogni giorno a qualcosa: e questo non è abbandono? Essere costretti a rinunciare al lavoro, per assistere il proprio figlio/a, fratello o sorella: anche questo è abbandono. Essere costretti a internare i nostri figli disabili in una struttura quando non si è più in grado di assisterli, perché questa è l'unica soluzione che lo Stato ti offre: anche questo è abbandono. Aver impegnato tutta la vita ad assistere una persona non autosufficiente, costretta dallo Stato, che non mi riconosce neppure il diritto al riposo, alla salute e alle pause destinate alle relazioni sociali: anche questo è abbandono. Penso che siamo ostaggi in mano alle istituzioni,  che poco tengono conto del sociale come base di civiltà di un popolo”.
Concorda Maria Simona Bellini, che aggiunge: “queste logiche esistono solamente nel nostro paese, affetto da un cancro insanabile: gli interessi privati! In nome di questi, in Italia si compiono le più orribili barbarie e, con la complicità di una politica putrida si abbandonano a loro stessi i cittadini più fragili e si trascina il paese verso il punto più basso che la nostra cultura sociale abbia mai toccato”. (cl) 

giovedì 9 gennaio 2014

Parcheggi per disabili nella zona ASI: Anche la Mongolfiera risponde al nostro appello



di Alfonso Balducci - Appoggiati a Me

Prosegue la campagna di sensibilizzazione e di informazione del Comitato “Appoggiati a Me” riguardo il rispetto dei posti auto riservati ai disabili iniziata il 28 settembre a seguito di una segnalazione da parte di un cittadino di un increscioso episodio accaduto nel parcheggio del centro commerciale “Mongolfiera” di Molfetta (vedi post Parcheggi per disabili: oltre il danno anche la beffa). 

In quell’occasione, dopo una nostra piccola indagine, siamo venuti a conoscenza che tutta la segnaletica stradale sia orizzontale che verticale presente nell’intera zona ASI - ad eccezione dell’area in cui ricade l’Outlet Fahion District - risulta irregolare non essendo mai state richieste da parte delle singole strutture commerciali le necessarie ordinanze comunali.

Subito ci siamo mossi per contattare direttamente le singole strutture commerciali, cercando con i loro direttori una possibile collaborazione per risolvere il problema.

Abbiamo cominciato con la Decathlon che contattata il 3 ottobre ci ha ricevuto il 5 ottobre  e ci sta comunicando sia via email che verbalmente le iniziative che sta prendendo per risolvere il problema nel loro parcheggio.

Decidemmo di contattare anche la dirigenza del centro commerciale “Mongolfiera”, che il 7 novembre ha ricevuto una nostra delegazione.

Un incontro molto cordiale con piena disponibilità del direttore - il signor Walter Levati - ad agire in tempi rapidi, giustificando il ritardo della regolarizzazione del loro parcheggio con una prossima ristrutturazione dello stesso per renderlo più funzionale.
Nell’ambito di questi lavori si starebbe valutando anche una nuova sistemazione per i posti auto destinati ai disabili, che potrebbero essere concentrati in un’area esclusiva protetta da sbarre ed accessibile solo con apposita tessera magnetica.

Su questa ipotesi ci permettemmo di esprimere le nostre riserve, peraltro condivise dallo stesso direttore Levati, in quanto questo sistema si presterebbe a possibili atti di vandalismo con tutto quello che ne conseguirebbe.

Mossi esclusivamente da spirito collaborativo, a nome del Comitato “Appoggiati a Me” ci offrimmo, se interpellati, di dire la nostra sulla futura dislocazione dei parcheggi per disabili ma abbiamo anche chiesto, in attesa dell’avvio dei lavori di ristrutturazione, di procedere comunque alla regolarizzarzione del parcheggio attuale. Su questo punto il direttore ci venne incontro dichiarandoci la sua disponibilità ad accogliere la nostra richiesta.

Convenimmo di continuare il proficuo confronto sia su questo tema, ma anche per migliorare la fruizione da parte dei disabili dei servizi e dei locali all’interno del centro commerciale.

Ci congedammo pregandolo di tenerci informati sugli sviluppi del procedimento burocratico come sta già facendo il direttore della Decathlon.

E mantenendo fede al suo impegno, recentemente abbiamo ricevuto dal direttore Levati  una nuova email nella quale ci assicura che la pratica burocratica per la regolarizzazione del loro attuale parcheggio è stato avviato e che sono in attesa di notizie da parte del comando dei vigili di Molfetta. Parallelamente sta procedendo col massimo impegno lo studio tecnico per la ristrutturazione della segnaletica del parcheggio clienti al fine di renderla più chiara e di più facile accesso alle categorie protette.
Infine ci ha fatto sapere che gradirebbe incontrarci a breve per un nuovo e produttivo confronto.

Da parte nostra non può che esserci l’accoglimento entusiasta di questo invito, lieti di aver instaurato anche con questo Centro Commerciale un promettente rapporto collaborativo che, siamo convinti, porterà in tempi rapidi a un esito positivo della problematica da noi sollevata.