mercoledì 25 dicembre 2013
lunedì 23 dicembre 2013
Stazione di Molfetta, il sottopassaggio è “vietato” ai disabili
E' da molti anni che pongo l’attenzione su questa barriera architettonica, per cercare di “abbatterla” ma, a tutt’oggi non ho risolto ancora nulla.
A quale barriera mi sto riferendo? Al sottopassaggio pedonale della stazione ferroviaria della mia città, Molfetta.
La difficoltà per le persone in carrozzina ma anche per una mamma con passeggino o per un anziano è lampante: il sottopassaggio è composto da una serie di gradini ripidissimi.
In passato, dettata dalla voglia di utilizzare il treno come mezzo di trasporto per raggiungere l’università e completare i miei studi, ho intrapreso una battaglia personale scrivendo alla vecchia Amministrazione Comunale, sia al Sindaco che all’Assessore alla Socialità, da cui però non ho mai ricevuto risposte.
Ho anche scritto anche a Trenitalia spiegando il problema e sperando di ottenere una risposta in merito alle competenze, qualora non fossero comunali: tutto invano.
Il 31 ottobre 2013, mi sono recata a nome del comitato “Appoggiati a Me” ad uno dei question time che l’attuale amministrazione comunale tiene per sentirsi più “vicina” alle problematiche della cittadinanza.
In quell’occasione, infatti, a rispondere era proprio il nuovo Sindaco Paola Natalicchio.
La reazione del primo cittadino fu positiva: mi ringraziò per aver posto l’accento su una barriera architettonica da tutti trascurata e prese l’impegno ad affrontare questo problema.
Mi auguro, che nonostante i tanti impegni che la sua carica comporta, il nostro Sindaco mantenga fede alla promessa fatta, perché abbattere quella barriera architettonica sarebbe in fondo un bene non solo per i disabili ma per tutti i cittadini.
Recentemente sono stati effettuati dei lavori lungo le scalinate di questo sottopassaggio, e per un attimo ci era parso che stessero installando una rampa per disabili. Ci eravamo illusi che finalmente le nostre numerose segnalazioni avessero dato i suoi frutti ed eravamo pronti a festeggiare l'abbattimento di questa odiosa barriera architettonica. Grande è stata invece la delusione quando abbiamo capito che in realtà si trattava semplicemente di un nuovo corrimano. (Vedi foto in alto)
Non sono esperta in materia e non sono certa di chi siano le “competenze” sulla questione, però continuerò a lottare personalmente, anche con l’aiuto del Comitato “Appoggiati a Me” che ha sposato volentieri questa battaglia.
lunedì 16 dicembre 2013
Disabili discriminati anche al cinema
di Vito Fuzio - Appoggiati a Me
Cinema e cultura, un diritto di tutti. Bene, qualche anno fa proposi a mia mamma di andare per la prima volta al Multisala Uci Cinemas di Molfetta per passare una serata diversa dal solito e guardarsi un buon film. Giunti sul posto diamo un’occhiata alla struttura esterna che ai nostri occhi si presentava molto positiva, dopodiché entriamo all’interno. Fin qui tutto bene, la serata sembra andare per il verso giusto. Quindi ritiriamo i biglietti e arriviamo su alle sale tramite ascensore e veniamo accompagnati da un addetto che mi indica uno dei posti riservati ai disabili in carrozzina posizionati in prima fila e a pochi metri dal maxischermo, io al mio posto e mia mamma poco distante alla sua poltrona. In pratica tutto il tempo del film siamo stati a testa in su e gli occhi stanchi per l’immagine distorta. Come è facile immaginare siamo tornati a casa con un forte mal di collo.
Da quella volta, vista l’esperienza negativa, non siamo più tornati in quella, per così dire, “problematica” multisala.
Secondo voi a chi piace stare seduti nella scomodissima prima fila, dalla quale il film si vede distorto e il collo dopo mezz’ora inizia a far male? Presumo a nessuno! Ebbene i progettisti e ingegneri avrebbero dovuto valutare questo aspetto, dando la possibilità anche a chi vive in carrozzina di poter assistere alla poiezione in modo confortevole come tutti gli altri spettatori. Ma tutto questo è stato sottovalutato come sempre.
Nella serata di ieri, 15/12/2013, una delegazione del Comitato "Appoggiati a Me" si è recata presso la multisala molfettese e ha potutto parlare col suo responsabile, il sig. Giorgio, che ci ha confermato che nel frattempo nulla è cambiato. Alle nostre rimostranze verbali il direttore dell'Uci Cinemas di Molfetta ci ha promesso che farà presente la problematica a chi di dovere e ci farà sapere. Vi aggiorneremo tempestivamente sugli sviluppi di questa vicenda.
giovedì 12 dicembre 2013
Un seminario per comprendere e gestire le emozioni dei bambini autistici
di Lidia de Trizio – Appoggiati a Me
Il 7 dicembre 2013 presso l’Aula Magna del Liceo Statale “Vito Fornari” di Molfetta si è tenuto un seminario dal titolo “Comprensione e gestione delle emozioni negli autismi” organizzato da A.S.A. Onlus Giovinazzo, Spazio Asperger Onlus, Istituto “Gaetano Selvemini” Molfetta.
Sono intervenuti il prof. Sabino Lafasciano, preside del Liceo Statale “Vito Fornari” e dell’ITTS “Gaetano Salvemini”, il quale ha parlato del progetto “Scuola-Amica”; il dott. Alessandro Frolli, neuropsichiatra infantile, il quale ha parlato dell’autismo come malattia neuro-genetica e il dott. David Vagni, vice presidente Spazio-Asperger, il quale ha parlato di come gestire le emozioni nell’autismo.
Costruire un ambiente scuola-amica significa rimpiazzare la cultura del dover rimediare ad un deficit con quella del rispettare il diverso modo di apprendere. E quindi si chiede innanzitutto allo specialista una diagnosi precisa: troppo vasto è lo spettro dei disturbi autistici, diversamente associati a forme di ritardo che vanno dal medio-lieve in su, oppure qualificantesi come sindrome di Tourette o di Asperger, come disturbi relativi soprattutto all’area affettivo-relazionale, con alto funzionamento di alcune competenze di calcolo, e assolutamente carenti per intelligenza sociale, ma anche per tutte le operazioni logiche che non siano di puro calcolo.
Innanzitutto occorre fare i conti con il senso di frustrazione che abita la relazione dal punto di vista dell’educatore, dell’insegnante, ma anche del familiare. Perché i tempi dell’interazione con la persona autistica sono estremamente lenti.
Occorre fare i conti con la propria corporeità. Perché la persona autistica usa proprio e preferibilmente la comunicazione non verbale, fatta di gesti, di sguardi, di necessità di toccare, di sentire il corpo dell’interlocutore. Per questo è impossibile mentire nella relazione con la persona autistica. Perché è il corpo, il nostro corpo, che, se non accoglie, respinge una relazione di senso con l’altro. Occorre essere risolti nella propria sessualità, consapevoli della propria corporeità, capaci di metterla in gioco, per comunicare con la persona autistica.
La persona disabile è un’opportunità, lungi dall’essere un problema per la classe o il gruppo che la accoglie.
Se la socialità è un problema per la persona autistica, che non sopporta il rumore, che prende per violente forme di comunicazione “normali” tra coetanei, che non sopporta l’indeterminatezza di una nuova situazione, paradossalmente proprio la persona autistica ci restituisce più di quanto noi riusciamo a dare, fornendoci insegnamenti fondamentali sulla vita.
“Se non riesco ad imparare nel modo in cui insegni, potresti insegnare nel modo in cui io imparo?”
sabato 7 dicembre 2013
Disabilità e Volontariato, due giornate dimenticate
di Domenico Porcelli - Appoggiati a Me
Questi giorni appena trascorsi sono stati particolarmente emotivi soprattutto per chi, suo malgrado, si deve confrontare con le proprie limitazioni fisiche e/o psichiche e per chi si dedica senza scopo di lucro a queste persone bisognose di assistenza.
Il 3 dicembre si è svolta la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità mentre il 5 dicembre quella del Volontariato.
Il Comitato “Appoggiati a Me”, si sa, nasce per sensibilizzare l’opinione pubblica affinchè ci sia un approccio consapevole verso i più sfortunati e pertanto non ha potuto non notare con stupore e anche con un pizzico di disappunto, che le varie istituzioni, da quelle nazionali a quelle locali, gli organi di stampa e le televisioni, peraltro molto sensibili e attenti alla tematica del femminicidio, abbiano invece tralasciato le tematiche della disabilità e della solidarietà che coinvolge una parte significativa della popolazione.
Superfluo scrivere come disabilità e solidarietà camminino mano nella mano e che molto spesso proprio grazie a quest’ultima si riesca a sopperire a situazioni di carenza da parte delle Istituzioni.
Auspichiamo che in futuro ci sia più attenzione rispetto a questi temi magari coinvolgendo proprio quelle associazioni non a scopo di lucro che, portando il loro esempio propositivo, danno un valore aggiunto all’intera comunità.
Auspichiamo che in futuro ci sia più attenzione rispetto a questi temi magari coinvolgendo proprio quelle associazioni non a scopo di lucro che, portando il loro esempio propositivo, danno un valore aggiunto all’intera comunità.
martedì 3 dicembre 2013
Sono disabile, non sono un eroe perché vivo la vita di tutti i giorni
In occasione della Giornata internazionale delle persone disabili, qualche riflessione sulla percezione della disabilità da parte di chi disabile non è

di Francesca Martin - (disabili.com)
"Il rispetto per la dignità intrinseca, l'autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l'indipendenza delle persone; la non discriminazione; la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società; il rispetto per la differenza e l'accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell'umanità stessa; la parità di opportunità; l'accessibilità; la parità tra uomini e donne; il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità".
Basterebbe questo, il testo dell'articolo 3 della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, che l'Assemblea delle Nazioni Unite ha approvato nel dicembre 2006, per dire tutto quello che c'è da dire oggi, Giornata Internazionale delle persone con disabilità. Ogni anno, dal 1993, in Europa il 3 di dicembre è come se si accendesse un faro sulla disabilità. Ma cosa significa essere disabile, oggi, in Italia?
Significa in larga parte avere bisogni inespressi, significa cercare risposte dalle istituzioni che spesso mancano, significa dover fare i conti con i soldi che non bastano, significa ancora sentire su di sè gli sguardi degli altri, significa dover dimostrare che no, non si ha riacquistato la vista da un anno all'altro. Significa dover rinunciare a uscire di casa, significa non avere una maestra di sostegno che ci segue, significa dover scendere le scale della metropolitana a braccia e elemosinare fondi per poter vivere dignitosamente in casa propria, significa fare la fila il doppio all'ufficio di collocamento.
Significa affrontare una serie di difficoltà materiali, sociali ed economiche per sé e la propria famiglia. Significa anche domandarsi perché e tante volte non trovare risposta. Ma significa al contempo cercare e trovare soluzioni alternative alle cose che tutti fanno, tutti i giorni, in maniera automatica. Significa, in definitiva, essere. Essere su una sedia a rotelle, essere ciechi, essere sordi, ma essere. Siamo, viviamo, esistiamo, ci innamoriamo, ci arrabbiamo, mangiamo e ci divertiamo. Non siamo extraterrestri, ma persone con facoltà magari ridotte, con bisogni particolari, ma per il resto in tutto e per tutto siamo, come chiunque.
E' questo (e molto altro) quello che vorremmo dire a chi disabile non lo è. E perché non iniziamo a dirglielo, aiutando ad abbattere quelli che spesso sono ancora muri, invisibili, ma muri? Una cosa simile la fa Rachelle Friedman, blogger e ambasciatrice della community di persone con lesione midollare, che qualche giorno fa ha scritto per l'Huffington Post un pezzo dal titolo: "Ten things you shouldn't say to someone who uses a wheelchair" (Dieci cose da non dire a qualcuno che usa una carrozzina).
"Ho sentito cose abbastanza folli uscire dalla bocca della gente, da quando sono su una sedia a rotelle!", inizia Rachelle, che ammettendo la buona fede delle persone, mette in ridicolo alcune espressioni che spesso ci si sente rivolgere da chi non vive o non ha particolare familiarità con la disabilità di una persona in carrozzina. Qualche esempio del suo decalogo: "Sei molto carina per essere su una sedia a rotelle", come se la disabilità rendesse brutti e tristi. Ma, al di là di questo, dice Rachelle, se vuoi farmi un complimento va benissimo, ma tieni la carrozzina fuori dalla cosa!
E questa difficoltà della gente di percepirti come persona, al di là delle tue quattro ruote e telaio, è ripresa anche in un secondo punto della lista di Rachelle, che dice "Non dirmi che sono un'ispirazione". Precisa Rachele che sì, a volte è ok sentirselo dire, e comprende il punto di vista e lo spirito come cui una persona "normodotata" possa pensarlo, ma lo stesso, stona. Vuole dire Rachelle, "non sto facendo nulla di straordinario, sono una ragazza che guida, fa la spesa, si diverte, esce. Ah, è vero, sto sulla carrozzina. Ma non faccio nulla di straordinario, e se capitasse anche a te quello che è successo a me, ti stupiresti di scoprire questa forza che adesso ti sembra così eccezionale su di me".
"Parcheggio qui solo per un minuto". Quante volte lo sentiamo dire? Rachelle dice che è la scusa numero uno che lei e i "carrozzati" si sentono rivolgere quando qualcuno parcheggia su un posto riservato ai disabili. Ebbene, dice Rachelle, al di là che di solito non è vero che è solo per un minuto (!), si dimentica forse che chi ha bisogno di quel posto ha, esattamente come tutti, appuntamenti e cartellini da timbrare. Un po' di rispetto, quindi! E questa frase fa il paio con un'altra: "Mi fa piacere vederti in giro!". Pensano forse che chi è in carrozzina sia un eremita? Quanto poco siamo abituati a vedere la disabilità per strada! Non parliamo poi di quando qualcuno si rivolge a noi con una vocina da "maestra dell'asilo", dice Rachelle. "Non capisco perché qualcuno che incontro per la prima volta debba parlarmi con quel tono, come se fossi una bimba…".
Questi sono solo alcuni esempi, che tra l'altro possono valere non per tutti, ma è un modo utile per aiutare la gente a capire. Dice Rachelle a questo proposito ai lettori: "Se hai pronunciato qualcuna di queste frasi, non sentirti sbagliato (a meno che tu non abbia rubato un parcheggio riservato a un disabile!). Non siamo arrabbiati o offesi, vogliamo solo aiutare la gente a capire. Non siamo di ispirazione perché viviamo la nostra vita di tutti i giorni; i compagni o partner di una persona con disabilità non sono eroi: semplicemente amano l'altra persona come chiunque altro".
Tutti questi esempi fanno capire, con un pizzico di quell'arma potente che è l'ironia, quanto ancora ci sia da lavorare anche sulla percezione stessa della persona con disabilità, da parte di chi non sia disabile. E quando si parla di barriere culturali si parla anche di questo. Iniziamo da qui per abbattere un po' di muri!
martedì 26 novembre 2013
(S)concerto
Mercoledì 13 Novembre 2013 si è tenuta la seconda e ultima tappa pugliese del Tour “EsageriAMO” di Renato Zero.
Come tutti i fans, mi appresto, fin dal mese di agosto, a comprare il biglietto ed essendo diversamente abile, mi attivo per poter ottenere un biglietto “a costi ridotti”.
Dopo un po’ di ricerche fatte in rete, finalmente trovo i recapiti telefonici dell’ente organizzatore del concerto. L’ operatrice che mi risponde mi assicura che dietro il pagamento di 46 euro avrò 2 biglietti numerati (uno per me e l'altro per il mio accompagnatore) per il settore dedicato alle persone diversamente abili, da ritirare direttamente dalla biglietteria quella sera, in quanto non è prevista una spedizione dei biglietti (cosa molto più semplice e agevole per me!!!).
La fatidica sera arriva, e alle 18 sono già al Palaflorio. La mia amica riesce, bypassando una coda chilometrica ad avere i nostri biglietti. Immediatamente dopo ci dirigiamo verso l’ingresso riservato alle persone diversamente abili, dove gli uomini della sicurezza ci dicono che dovremmo aspettare fino alle 19 per poter entrare nel palazzetto. Da sottolineare che, in quell’ora di attesa da quell’ingresso passano persone anche non diversamente abili, l’unica eccezione positiva, dietro le nostre proteste è di un uomo che avendo una gamba paralizzata non riesce a stare in piedi per un’ora.
Poco dopo le 19, finalmente entriamo, dove gli addetti alla sicurezza ci indicano la nostra area riservata. Subito, ci accorgiamo che sia per gli accompagnatori sia per gli altri ragazzi diversamente abili (coloro che pur essendo diversamente abili non sono in carrozzina) non sono previsti né posti a sedere sugli spalti né tantomeno delle semplicissime sedie. Immediatamente ci rivolgiamo sia alle forze dell’ordine sia alle persone che in quell’occasione rappresentano l’ente organizzatore del concerto. Entrambi, prima ci dicono che procurarci delle sedie non rientra nelle loro mansioni,poi affermano che in tutto il palazzetto non ci sono altre sedie, sottolineando che la medesima situazione si era verificata il giorno precedente e pregandoci di rivolgerci alla biglietteria per poter ottenere ciò per cui avevamo pagato. Mentre un piccolo gruppo di noi va in biglietteria, gli altri rimasti (me compresa) davanti alle forze dell’ordine, minacciamo di bloccare il concerto o quanto meno di avvicinarci sotto il palco a concerto iniziato per goderci quello per cui avevamo pagato. All’udire le nostre intenzioni, un poliziotto ci avvisa che il nostro comportamento è punibile anche con l’arresto.
Poco prima dell’inizio del concerto la biglietteria procura a tutti delle sedie dicendoci di essere riuscita ad ottenerle da un servizio catering.
Il concerto, che dire, è stato bellissimo ed intenso ma quest’esperienza lascia anche dell’amaro in bocca perché mi chiedo, dove sono i miei diritti? E poi anche in queste bellissime occasioni di svago mi rendo conto che sia le barriere architettoniche sia soprattutto quelle mentali non si finisce mai di abbatterle. Oppure era meglio, comprare dei biglietti “normali” ed ottenere tranquillamente il proprio posto numerato, piuttosto che avere diritto ad un biglietto “ridotto” e non avere il proprio posto a sedere?
lunedì 25 novembre 2013
Come raccontare la violenza sulle donne con disabilità
In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il Comitato "Appoggiati a Me" propone alla vostra attenzione questo articolo che affronta questo delicatissimo tema soffermandosi, in modo particolare, sui casi in cui viene coinvolta anche la disabilità.

di Simona Lancioni (www.superando.it)
Sebbene negli ultimi anni l’attenzione collettiva riguardo al
fenomeno della violenza sulle donne sia sensibilmente cresciuta, rimane
ancora poco visibile la violenza rivolta alle donne con disabilità.
Per comprendere questo specifico aspetto del fenomeno, è necessario tenere presente che, essendo la violenza l’esercizio di un potere oppressivo, tale potere si esercita più facilmente nei confronti dei soggetti più vulnerabili, ed essendo le donne con disabilità (soprattutto quelle con disabilità psichica) più vulnerabili delle altre, esse risultano più esposte al fenomeno in questione.
Per comprendere questo specifico aspetto del fenomeno, è necessario tenere presente che, essendo la violenza l’esercizio di un potere oppressivo, tale potere si esercita più facilmente nei confronti dei soggetti più vulnerabili, ed essendo le donne con disabilità (soprattutto quelle con disabilità psichica) più vulnerabili delle altre, esse risultano più esposte al fenomeno in questione.
A questa indicazione preliminare si devono aggiungere diverse
ulteriori riflessioni inerenti la disabilità. Occorre considerare
infatti che spesso le donne con disabilità sono vittime di una discriminazione multipla,
ingenerata dall’essere simultaneamente sia donne che disabili. Alcune
disabilità, poi, possono comportare dei limiti d’autonomia superabili
solo attraverso un’attività di assistenza prestata da altre persone e
quest’ultimo aspetto comporta che le persone con disabilità grave o
gravissima si ritrovino costantemente “nelle mani altrui.
«Mani esperte, devote, mani disposte ma straniere. […] Mani materne, mani matrigne, mani benedette, mani maledette, mani necessarie, mani indispensabili! Mani! Mani! Inconsapevoli mani da cui spesso mi sento come scancellata, che del mio corpo leggono i bisogni, mai i desideri…», scriveva Paola Nepi, una donna con disabilità, nel monologo Le mani addosso (Firenze, Edizioni della Meridiana, 2012, pp. 18-19).
Questa circostanza fa sì che le persone con disabilità (sia gli uomini che le donne) possano essere vittime di forme di violenza specifiche, connesse alla dipendenza dal lavoro di cura. Prestare assistenza senza prestare attenzione alla persona è, ad esempio, una forma di violenza specificamente legata alla condizione di disabilità. Altri esempi sono l’essere considerati asessuati, l’essere guardati con commiserazione, venire ignorati, suscitare paura, l’essere considerati incapaci di vivere le situazioni tipiche dell’età adulta (lavorare, avere una vita amorosa/sessuale, divenire genitore), l’essere sottoposti a sterilizzazione forzata, la presunzione che la condizione di disabilità sia incompatibile con la felicità, la gioia, la bellezza e altri aspetti positivi della vita, ridurre la persona alla sua disabilità ecc.
Pertanto, quando si parla di violenza sulle donne, è importante integrare le consuete considerazioni che vengono generalmente fatte su questo fenomeno, con quelle specificamente connesse alla disabilità. Se ad esempio colui o colei che esercita la violenza è il caregiver [“assistente di cura”, N.d.R.] della donna con disabilità, non sarà sufficiente ospitare la donna in un luogo protetto, sarà anche necessario fornire un servizio di assistenza personale, e accertarsi che il luogo protetto sia privo di barriere.
«Mani esperte, devote, mani disposte ma straniere. […] Mani materne, mani matrigne, mani benedette, mani maledette, mani necessarie, mani indispensabili! Mani! Mani! Inconsapevoli mani da cui spesso mi sento come scancellata, che del mio corpo leggono i bisogni, mai i desideri…», scriveva Paola Nepi, una donna con disabilità, nel monologo Le mani addosso (Firenze, Edizioni della Meridiana, 2012, pp. 18-19).
Questa circostanza fa sì che le persone con disabilità (sia gli uomini che le donne) possano essere vittime di forme di violenza specifiche, connesse alla dipendenza dal lavoro di cura. Prestare assistenza senza prestare attenzione alla persona è, ad esempio, una forma di violenza specificamente legata alla condizione di disabilità. Altri esempi sono l’essere considerati asessuati, l’essere guardati con commiserazione, venire ignorati, suscitare paura, l’essere considerati incapaci di vivere le situazioni tipiche dell’età adulta (lavorare, avere una vita amorosa/sessuale, divenire genitore), l’essere sottoposti a sterilizzazione forzata, la presunzione che la condizione di disabilità sia incompatibile con la felicità, la gioia, la bellezza e altri aspetti positivi della vita, ridurre la persona alla sua disabilità ecc.
Pertanto, quando si parla di violenza sulle donne, è importante integrare le consuete considerazioni che vengono generalmente fatte su questo fenomeno, con quelle specificamente connesse alla disabilità. Se ad esempio colui o colei che esercita la violenza è il caregiver [“assistente di cura”, N.d.R.] della donna con disabilità, non sarà sufficiente ospitare la donna in un luogo protetto, sarà anche necessario fornire un servizio di assistenza personale, e accertarsi che il luogo protetto sia privo di barriere.
La violenza sulle donne (disabili e non) è un fenomeno culturale,
e per sradicarlo è necessario lavorare su un immaginario collettivo che
tende ancora a negarlo o a giustificarlo. Per questo motivo non basta
parlare di violenza, ma si deve anche prestare attenzione al linguaggio utilizzato e agli stereotipi
comunemente associati alla violenza sulle donne, alle donne stesse e
alle persone con disabilità (nel caso che la vittima di violenza sia una
donna disabile).
Si deve sicuramente evitare di trasformare la lotta alla violenza in una guerra tra i sessi. Non è vero che gli uomini sono violenti e cattivi per natura, né, viceversa, che le donne siano per natura non violente, buone e abbiano ragione a prescindere. Uomini e donne sono sottoposti sin da quando nascono a un processo di socializzazione che definisce in modo rigido la femminilità e la mascolinità e i differenti ruoli ad esse associati. Finché quindi continueremo ad associare la femminilità alla dolcezza, alla docilità e alla disponibilità, e la mascolinità alla forza, all’irrequietezza e al dominio, ci esporremo al rischio di confondere la cultura con la natura, sino ad arrivare ad affermare che la violenza degli uomini sulle donne è fisiologica e immutabile perché connaturata all’essere maschi. Questo non è corretto, e chi parla di violenza deve stare bene attento/a a non veicolare questo tipo di messaggio.
È vero invece che spesso la violenza è ingenerata proprio dalla mancanza di corrispondenza tra le aspettative suscitate dagli stereotipi di genere appresi nel processo di socializzazione e la realtà. Dunque sono proprio gli stereotipi di genere quelli che devono essere cambiati (destrutturati) e, per fare questo, la collaborazione maschile non è solo auspicabile, è indispensabile.
Si deve sicuramente evitare di trasformare la lotta alla violenza in una guerra tra i sessi. Non è vero che gli uomini sono violenti e cattivi per natura, né, viceversa, che le donne siano per natura non violente, buone e abbiano ragione a prescindere. Uomini e donne sono sottoposti sin da quando nascono a un processo di socializzazione che definisce in modo rigido la femminilità e la mascolinità e i differenti ruoli ad esse associati. Finché quindi continueremo ad associare la femminilità alla dolcezza, alla docilità e alla disponibilità, e la mascolinità alla forza, all’irrequietezza e al dominio, ci esporremo al rischio di confondere la cultura con la natura, sino ad arrivare ad affermare che la violenza degli uomini sulle donne è fisiologica e immutabile perché connaturata all’essere maschi. Questo non è corretto, e chi parla di violenza deve stare bene attento/a a non veicolare questo tipo di messaggio.
È vero invece che spesso la violenza è ingenerata proprio dalla mancanza di corrispondenza tra le aspettative suscitate dagli stereotipi di genere appresi nel processo di socializzazione e la realtà. Dunque sono proprio gli stereotipi di genere quelli che devono essere cambiati (destrutturati) e, per fare questo, la collaborazione maschile non è solo auspicabile, è indispensabile.
Va inoltre contrastata la tendenza a raccontare gli episodi di violenza dal punto di vista dell’aggressore o
del femminicida. Parlare di “delitto passionale”, o usare espressioni
come «l’ha uccisa perché voleva lasciarlo», oppure «l’ha violentata
perché aveva la minigonna», significa riproporre acriticamente il punto
di vista maschile, suggerendo una lettura che tende a giustificare
l’atto violento (“se lei non avesse provato a lasciarlo, sarebbe ancora
viva”; “se lei non si vestiva in un dato modo, non sarebbe successo
niente”…).
Tali espressioni rafforzano l’idea – sbagliata ma ancora molto diffusa – che i delitti e la violenza abbiano qualcosa a che fare con l’amore e la passione, e che la vittima abbia delle corresponsabilità negli eventi che l’hanno trasformata in un bersaglio di violenza.
Sbagliato è anche raccontare la violenza sulle donne ricorrendo a espressioni come “raptus” o “follia”, non solo perché quelli che vengono descritti nelle cronache dei media come episodi estemporanei sono spesso il momento culminante di una violenza ripetuta e crescente, ma anche perché quelle parole negano la matrice culturale della violenza sulle donne e sono deresponsabilizzanti (se nel momento in cui si è verificato il fatto l’aggressore non era in sé, perché colto da un raptus o da follia improvvisa, tutto sommato non è così colpevole, e neppure tanto responsabile).
È dunque importante che chi parla di violenza sulle donne privilegi il punto di vista della donna, raccontando qualcosa di lei, chiamandola per nome (ove è possibile), o comunque con pseudonimi che ne sottolineino l’individualità, e non con espressioni come “la moglie”, “la fidanzata”, “la compagna”, “la sorella”, “la figlia”, “l’amica”, o “l’ex moglie”, “l’ex fidanzata”, “l’ex compagna”, ecc.
Tali espressioni rafforzano l’idea – sbagliata ma ancora molto diffusa – che i delitti e la violenza abbiano qualcosa a che fare con l’amore e la passione, e che la vittima abbia delle corresponsabilità negli eventi che l’hanno trasformata in un bersaglio di violenza.
Sbagliato è anche raccontare la violenza sulle donne ricorrendo a espressioni come “raptus” o “follia”, non solo perché quelli che vengono descritti nelle cronache dei media come episodi estemporanei sono spesso il momento culminante di una violenza ripetuta e crescente, ma anche perché quelle parole negano la matrice culturale della violenza sulle donne e sono deresponsabilizzanti (se nel momento in cui si è verificato il fatto l’aggressore non era in sé, perché colto da un raptus o da follia improvvisa, tutto sommato non è così colpevole, e neppure tanto responsabile).
È dunque importante che chi parla di violenza sulle donne privilegi il punto di vista della donna, raccontando qualcosa di lei, chiamandola per nome (ove è possibile), o comunque con pseudonimi che ne sottolineino l’individualità, e non con espressioni come “la moglie”, “la fidanzata”, “la compagna”, “la sorella”, “la figlia”, “l’amica”, o “l’ex moglie”, “l’ex fidanzata”, “l’ex compagna”, ecc.
Le violenze più frequenti avvengono in famiglia.
Anche nel caso in cui la vittima di violenza (o di femminicidio) sia una
donna con disabilità, occorre evitare di presentarla in modo passivo o
pietistico: è vero che ha subito violenza, ma va sottolineato che lei è una persona con dei diritti, resa più vulnerabile dalla mancanza di servizi adeguati e da quel pregiudizio
che considera ancora la famiglia come il luogo più sicuro e i familiari
i soggetti più adatti a prestare assistenza a una persona con
disabilità. Non è detto invece che i familiari siano sempre i soggetti
più adatti: spesso sono semplicemente gli unici disponibili. La mancanza o la scarsità di opzioni alternative alla famiglia e ai caregiver familiari
rende pertanto più problematica la risoluzione delle situazioni in cui
la vittima di violenza è una donna con disabilità.
Va inoltre tenuto presente, anche se dovrebbe essere più raro, che talvolta quella che subisce violenza è proprio la caregiver, sottoposta a continue manipolazioni e ricatti affettivi agiti dalla persona con disabilità (in genere maschio, ma non necessariamente).
E ancora, una riflessione specifica andrebbe fatta sulle donne ricoverate negli istituti, luoghi nei quali i rapporti di potere tra il personale e gli/le ospiti sono talmente sbilanciati da far crescere in modo esponenziale il rischio di violazione dei diritti umani, di discriminazione e di violenze di ogni tipo.
Secondo un rapporto del Parlamento Europeo di qualche anno fa, circa l’80% delle donne con disabilità istituzionalizzate sono esposte a rischio di violenza. Una corretta divulgazione su questi temi non può pertanto prescindere da una conoscenza generale del fenomeno della disabilità, e dello specifico contesto in cui si è svolto l’episodio di violenza. Riportare, quando sono disponibili, dati e statistiche, o fare collegamenti con episodi simili (magari chiedendo supporto all’associazionismo di settore), è utile a descrivere l’ampiezza e le caratteristiche del fenomeno.
Va inoltre tenuto presente, anche se dovrebbe essere più raro, che talvolta quella che subisce violenza è proprio la caregiver, sottoposta a continue manipolazioni e ricatti affettivi agiti dalla persona con disabilità (in genere maschio, ma non necessariamente).
E ancora, una riflessione specifica andrebbe fatta sulle donne ricoverate negli istituti, luoghi nei quali i rapporti di potere tra il personale e gli/le ospiti sono talmente sbilanciati da far crescere in modo esponenziale il rischio di violazione dei diritti umani, di discriminazione e di violenze di ogni tipo.
Secondo un rapporto del Parlamento Europeo di qualche anno fa, circa l’80% delle donne con disabilità istituzionalizzate sono esposte a rischio di violenza. Una corretta divulgazione su questi temi non può pertanto prescindere da una conoscenza generale del fenomeno della disabilità, e dello specifico contesto in cui si è svolto l’episodio di violenza. Riportare, quando sono disponibili, dati e statistiche, o fare collegamenti con episodi simili (magari chiedendo supporto all’associazionismo di settore), è utile a descrivere l’ampiezza e le caratteristiche del fenomeno.
Un aspetto della comunicazione sul quale anche le associazioni di
donne commettono – sia pure in buona fede – frequenti errori è quello
delle immagini. È infatti abbastanza facile vedere
campagne contro la violenza sulle donne che mostrano corpi e volti di
donne tumefatti, donne in atteggiamento difensivo che si riparano in
qualche modo, donne spettinate ridotte in un angolo con i vestiti
strappati ecc.
Anche riguardo a queste immagini si può osservare che esse mostrano ciò che – presumibilmente – vede l’aggressore, e non il punto di vista della donna aggredita. In secondo luogo, come ha ben illustrato Giovanna Cosenza, docente di Semiotica presso l’Università di Bologna) in numerose occasioni, «non si combatte la violenza con immagini che la esprimono. Né si fanno uscire le donne dal ruolo di vittime se si insiste a rappresentarle come vittime.» (G. Cosenza, «Stai zitta, cretina». E come sempre, le campagne contro la violenza esprimono violenza, in «Dis.Amb.Iguando», 24 novembre 2011).
Un altro errore frequente è quello di scegliere come testimonial contro la violenza solo donne belle, come se per promuovere una causa fosse necessario utilizzare la bellezza, o come se a subire violenza fossero solo le donne avvenenti. Non è così. Paradossalmente si potrebbe suscitare l’effetto di rendere la violenza seducente, o di rafforzare il pregiudizio secondo cui le donne che non corrispondono a certi canoni estetici non siano toccate da questo fenomeno.
Forse bisognerebbe provare ad uscire dai binari delle immagini scioccanti o seducenti, incentrandosi di più sulla narrazione (molto interessante, sotto questo profilo, è Ferite a morte, il progetto teatrale realizzato recentemente da Serena Dandini), oppure spostando l’attenzione sull’aggressore (che è ancora poco rappresentato), o, ancora, su un simbolismo inconsueto: come non emozionarsi davanti a One billion rising for justice, la danza globale promossa da Eve Ensler?
Realizzata anche in molte città d’Italia lo scorso 14 febbraio, questa danza ha permesso che migliaia di donne e di uomini insieme potessero esprimere un no collettivo alla violenza utilizzando tutto il corpo. Gioia e vitalità contro la violenza: geniale!
Infine, nel raccontare i dettagli delle violenze, è importante essere chiari, completi e precisi, ma non scadere nel morboso e nel sensazionalistico. Occorre inoltre, ed è importantissimo, prestare attenzione alla riservatezza della vittima e, dunque, evitare di rivelare particolari che potrebbero renderla riconoscibile (nei casi in cui è richiesto l’anonimato), e rintracciabile (qualora sia accolta in un luogo protetto).
Anche riguardo a queste immagini si può osservare che esse mostrano ciò che – presumibilmente – vede l’aggressore, e non il punto di vista della donna aggredita. In secondo luogo, come ha ben illustrato Giovanna Cosenza, docente di Semiotica presso l’Università di Bologna) in numerose occasioni, «non si combatte la violenza con immagini che la esprimono. Né si fanno uscire le donne dal ruolo di vittime se si insiste a rappresentarle come vittime.» (G. Cosenza, «Stai zitta, cretina». E come sempre, le campagne contro la violenza esprimono violenza, in «Dis.Amb.Iguando», 24 novembre 2011).
Un altro errore frequente è quello di scegliere come testimonial contro la violenza solo donne belle, come se per promuovere una causa fosse necessario utilizzare la bellezza, o come se a subire violenza fossero solo le donne avvenenti. Non è così. Paradossalmente si potrebbe suscitare l’effetto di rendere la violenza seducente, o di rafforzare il pregiudizio secondo cui le donne che non corrispondono a certi canoni estetici non siano toccate da questo fenomeno.
Forse bisognerebbe provare ad uscire dai binari delle immagini scioccanti o seducenti, incentrandosi di più sulla narrazione (molto interessante, sotto questo profilo, è Ferite a morte, il progetto teatrale realizzato recentemente da Serena Dandini), oppure spostando l’attenzione sull’aggressore (che è ancora poco rappresentato), o, ancora, su un simbolismo inconsueto: come non emozionarsi davanti a One billion rising for justice, la danza globale promossa da Eve Ensler?
Realizzata anche in molte città d’Italia lo scorso 14 febbraio, questa danza ha permesso che migliaia di donne e di uomini insieme potessero esprimere un no collettivo alla violenza utilizzando tutto il corpo. Gioia e vitalità contro la violenza: geniale!
Infine, nel raccontare i dettagli delle violenze, è importante essere chiari, completi e precisi, ma non scadere nel morboso e nel sensazionalistico. Occorre inoltre, ed è importantissimo, prestare attenzione alla riservatezza della vittima e, dunque, evitare di rivelare particolari che potrebbero renderla riconoscibile (nei casi in cui è richiesto l’anonimato), e rintracciabile (qualora sia accolta in un luogo protetto).
Sulla comunicazione e la divulgazione in tema di violenza sulle donne
sono state scritte molte cose interessanti. Quelli indicati sono solo
dei cenni utili ad aprire una riflessione che meriterebbe ulteriori
approfondimenti. Non sappiamo ancora quale sia il modo migliore per
raccontare la violenza, quel che è certo è che essa va raccontata, perché solo raccontandola la renderemmo visibile, ne acquisiremmo consapevolezza, e potremmo prevenirla efficacemente.
domenica 24 novembre 2013
Lettera di un bimbo portatore di handicap alla sua mamma...
Cara Mamma,
lo so che non è stato facile... ma ti voglio raccontare una cosa, che forse non sai.
Ogni anima, prima di incarnarsi, sa già quale percorso deve compiere, così anch'io sapevo che sarei nato per vivere un certo tipo di esperienza. Lo sapevi?
Ci sono anime più e meno evolute, ma adesso non pensare quello che viene più logico... non è proprio così. La scelta di nascere e vivere un'esistenza, diciamo "difficile", è una scelta dura e faticosa, ma anche una scelta d'amore che solo anime molto sensibili ed elevate possono possono permettersi di fare.
Non riesci a spiegartelo? Non è facile da capire, non tutto è semplice, ma credimi, non è la manifestazione fisica che conta... e tu sai che la mia è un'anima pura e bellissima: questo conta, questo lo hai capito subito dalla prima volta che mi hai preso tra le braccia... Del resto ognuno di noi si sceglie i genitori, ed io vi ho cercati e vi ho trovati, che bello!
Dovevo essere sicuro di essere accettato e amato completamente, dovevo trovare due persone così stupendamente... insomma voi due.
Spero ti faccia piacere sapere che stai svolgendo un compito superiore, che non è da tutti, che ti viene affidato dal cielo. Sai, alcune mamme, non tu lo so, vivono questa esperienza male, quasi come una punizione e non sanno che è un premio da un "essere" che ha tutta la capacità e l'amore per vivere un tipo di esperienza così delicata e a volte faticosa, ma che sa dare momenti così unici che non è possibile descrivere... però io e te li conosciamo, vero mamma? Non si possono spiegare con le parole, ma solo con le emozioni... e con le energie sottili che si scambiano.
Mamma, come vorrei che tu riuscissi a comunicarlo a tutte quelle persone che ignorano la danza delle nostre varire esistenze... ma per ora non importa, mi basta averlo comunicato a te, che in fondo lo sapevi già... ma volevo darti una conferma della tua intuizione. Noi tutti siamo esseri di luce, che ogni tanto scendono sulla terra ad imparare una "pagina" di lezione. Le nostre due luci sono così simili che si sono riconosciute, tu sei nata per aspettarmi ed io sono arrivato, tutto come era scritto: con una penna dall'inchiostro dorato.
Ti abbraccio, mamma, ti ringrazio e di essere come sei e di darmi tutto il tuo amore. Non preoccuparti mai, stai già facendo tutto, abbi solo fiducia quanta io ne ho in te e continuiamo la nostra danza, con la musica che gli Angeli hanno composto solo per noi.
Ti amo, mi ami... perché l'amore è la risposta ad ogni cosa.
il tuo bambino
(Tratto da: "Fiori di Bach per bambini" di Barbara Mazzarella)
Barbara Mazzarella
venerdì 15 novembre 2013
Un deprecabile atto di inciviltà… per un parcheggio in più
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foto MolfettaLive.it |
di Alfonso Balducci - Appoggiati a Me
L’impegno quotidiano e determinato del Comitato “Appoggiati a Me” comincia a dare i suoi frutti. Ci ha fatto molto piacere l’articolo apparso ieri, 14 novembre, sulla testata giornalistica on line MolfettaLive.it nel quale è stata denunciata la presenza di bidoni per la raccolta differenziata lungo un marciapiede in Via XX Settembre proprio davanti a uno scivolo per disabili. Ci ha fatto piacere per due motivi. Il primo è che apprezziamo l’attenzione dei media quando puntano i loro riflettori sui diritti violati, specie se le vittime sono i cittadini più deboli. Il secondo motivo che, non lo nascondiamo, ci inorgoglisce è nell’essere stati inaspettatamente citati positivamente in questo passaggio:
[…] “A Molfetta, alcuni mesi fa, è anche nato “Appoggiati a Me”, un Comitato formato da liberi cittadini direttamente coinvolti o interessati al problema della disabilità. Lo stesso si propone di ascoltare le problematiche, raccogliere le esigenze e progetti possibili e fare da cassa di risonanza presso le Istituzioni locali.
Come loro, MolfettaLive, come testata giornalistica locale, sente il dovere di alzare il livello di attenzione davanti a problemi di questa rilevanza e confida in un pronto intervento da parte dell’Azienda Servizi Municipalizzati e dell’Amministrazione Natalicchio. L’appello è rivolto al nuovo Presidente dell’ASM Antonello Zaza, al Direttore Ing. Binetti ed al Sindaco Paola Natalicchio.
Come sostenuto dal suddetto Comitato, la voce dei disabili e delle famiglie deve avere voce in capitolo, perché i diretti interessati vivono giorno dopo giorno, anno dopo anno la disabilità ed hanno la chiara e netta consapevolezza di quali siano i servizi essenziali, i progetti possibili, gli sviluppi ipotizzabili per garantire il miglioramento della qualità della vita del disabile.”
A noi è sembrato un incoraggiante riconoscimento per il nostro lavoro che ci sprona a intensificare i nostri sforzi per tutelare sempre più efficacemente i disabili e le loro famiglie.
Ma una nostra valutazione sull’increscioso episodio denunciato nell’articolo la vogliamo fare. Nell’articolo sembra ipotizzarsi una diretta responsabilità della ASM nell’aver volontariamente posizionato i bidoni davanti allo scivolo per disabili. Questa cosa sentiamo di escluderla per la semplice ragione che la ASM ha individuato per quei bidoni una zona delimitata da una striscia gialla (vedi foto in basso) che non intralcia minimamente il passaggio per i disabili. Quello che più probabilmente è accaduto è che i bidoni siano stati arbitrariamente spostati da qualche automobilista incivile col fine di ricavare un posto auto in più per la propria vettura. Un atto deprecabile che va condannato e sanzionato senza esitazione. Sarebbe anche grave se gli operatori ecologici, accortisi dello spostamento dei bidoni, non abbiano provveduto immediatamente a rimetterli al loro posto e chiamato la polizia municipale per far elevare una multa all’automobilista indisciplinato oltre che a rimuovere forzatamente il mezzo.
![]() |
foto Maria Cappelluti - Comitato "Appoggiati a Me" |
Noi ignoriamo da quanto tempo quei bidoni fossero nella posizione visibile nella foto pubblicata da MolfettaLive.it, ma la cosa che possiamo dire dopo un nostro sopralluogo avvenuto stamattina, è che la situazione è tornata alla normalità (come visibile nella foto qui sopra). Ovviamente vigileremo affiché questo abuso non venga a ripetersi in futuro né qui né altrove.
Riguardo infine al rispetto degli scivoli sui marciapiedi per i disabili, consapevoli del problema e mossi da spirito collaborativo, stiamo elaborando una nostra proposta che porteremo presto all’attenzione dell’amministrazione che, siamo certi, la valuterà con la dovuta attenzione.
mercoledì 13 novembre 2013
Contattaci... stiamo aspettando te
di Arianna Altamura - Appoggiati a Me
“Appoggiati a Me” è un Comitato nato nel 2013 e formato da liberi cittadini direttamente coinvolti o interessati al problema della disabilità.
Il Comitato si propone in prima istanza di ascoltare le problematiche, raccogliere le esigenze e progetti possibili, fare da cassa di risonanza presso le Istituzioni locali. È un’iniziativa degna di grande rilevanza, mai fino ad oggi aveva trovato spazio nei tavoli istituzionali la voce dei “direttamente interessati”.
Finora molti genitori di bambini disabili e molti disabili stessi hanno costituito una GRANDE MASSA SILENTE e frammentata, che ha vissuto ogni problema legato alla disabilità nella solitudine dei propri nuclei familiari.
La famiglia di un disabile affronta quotidianamente le più svariate situazioni (a volte neanche di difficile soluzione) approcciandosi ora con l’ASL, ora con la Scuola, ora con i Servizi Sociali.
Spesso lotta con una burocrazia lenta, oppure si sobbarca l’onere economico di terapie private - che sopperiscono alle liste d’attesa di un SSN che nonostante l’impegno degli operatori è logorato dai tagli alla spesa. Molte volte vive in funzione di continui spostamenti e frequenti ricoveri.
Questa è la “nostra normalità”, la nostra quotidianità.
Oggi il Comitato “Appoggiati a me” vuole dar voce a queste famiglie e farle diventare insieme una GRANDE MASSA PARLANTE.
La voce dei disabili e delle famiglie deve avere voce in capitolo nei raporti istituzionali, perché i diretti interessati che vivono giorno dopo giorno, anno dopo anno la disabilità hanno la CHIARA e NETTA CONSAPEVOLEZZA di quali siano i servizi essenziali, i progetti possibili, gli sviluppi ipotizzabili per garantire IL MIGLIORE SERVIZIO POSSIBILE per i diversamente abili
Con un unico obiettivo: il miglioramento della qualità della vita del disabile.
e-mail:appoggiati.ame@libero.it
Ci trovi su fb nel gruppo e pagina "Appoggiati a me"
lunedì 11 novembre 2013
Prima convocazione del comitato "Appoggiati a Me" presso l'Assessorato alle politiche sociali
di Maria Cappelluti - Appoggiati a Me
Lo scorso 7 novembre 2013 il Comitato per la tutela dei Disabili “Appoggiati a Me” ha protocollato la sua prima richiesta scritta al Comune di Molfetta.
L’istanza riguardava sia la possibilità di un rimborso spese carburante per le famiglie costrette a portare i propri figli presso Centri Riabilitativi fuori dalla nostra città, sia la possibile gratuità dell’ingresso presso la Piscina Comunale di Molfetta per bambini disabili che vi frequentano lezioni terapeutiche.
Anzitutto siamo rimasti piacevolmente colpiti dalla celere risposta da parte dell’Assessorato alle Politiche Sociali, che ha immediatamente voluto incontrare una nostra delegazione.
L’incontro si è svolto perciò il giorno dopo - 8 novembre- in un clima cordiale e proficuo.
Abbiamo potuto iniziare ad affrontare sia le richieste specifiche ma anche altri temi direttamente legati alle problematiche più urgenti per i disabili e per le loro famiglie.
Possiamo senz’altro ritenere questo primo incontro davvero soddisfacente, perché abbiamo trovato un interlocutore istituzionale attento e pronto a collaborare fattivamente per il raggiungimenti dei nostri obiettivi.
Dopo il precedente positivo incontro col Sindaco al “Question Time” presso Comitando, una nuova occasione di ottimo confronto: abbiamo la sensazione che il Comitato col passar del tempo stia acquistando la giusta fiducia da parte dell’Amministrazione, e cercheremo di continuare nelle nostre piccole battaglie di civiltà.
Noi che viviamo quotidianamente il problema della disabilità in ogni suo aspetto, ci riproponiamo di collaborare con le Istituzioni proponendogli soluzioni ottimali e spesso anche meno dispendiose per la collettività, ottenendo il meglio dai servizi esistenti e proponendone di nuovi.
Il nostro unico scopo resta migliorare la qualità di vita dei disabili, perché investire sulla riabilitazione, e sul fargli raggiungere la maggior autonomia possibile significherà anche renderli meno dipendenti dagli altri in futuro.
lunedì 4 novembre 2013
Molfetta, falsi ciechi: due fratelli denunciati per truffa
Le indagini della Gdf erano partite dopo un'analisi preliminare degli elenchi di quanti percepiscono indennità di accompagnamento perché risultano ciechi assoluti.

di Renato Marino - Crimeblog.it
Prendevano la pensione d’invalidità civile e l’indennità di accompagnamento perché risultavano totalmente ciechi.
Eppure - secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza di Molfetta
- erano tranquillamente in grado di guidare l’auto e fare tutta una
serie di cose impossibili per un non vedente: accompagnavano i figli a
scuola, facevano la spesa scegliendo i prodotti sugli scaffali,
scendevano agilmente le scale e così via. Insomma falsi ciechi.
Parliamo di due fratelli di Molfetta, nel barese,
entrambi 50enni. Sono stati denunciati per truffa dalle Fiamme gialle e
a loro carico è stato emesso un provvedimento di sequestro per
equivalente di circa 140mila euro - in immobili, terreni e conti
correnti bancari. Cifra corrispondente all’importo percepito
indebitamente.
Uno dei due fratelli da dieci anni ormai prendeva pensione e
accompagnamento, l’altro “solo” da sei anni, da quando cioè il suo campo
visivo era stato diagnosticato estinto.
I fratelli infatti erano riusciti prima a ottenere dall’Inps una
invalidità civile parziale, poi quella totale, con tanto di
accompagnamento. Senza averne nessun diritto, ragion per cui ora
dovranno restituire il maltolto. Le indagini sono state condotte dalla
procura della Repubblica di Trani dopo un’analisi preliminare degli
elenchi di quanti prendono indennità di accompagnamento in quanto ciechi
assoluti.
© Foto TM News
domenica 3 novembre 2013
Il Comitato "Appoggiati a Me" presente al Terzo Piano Sociale di Zona
di Maria Cappelluti e Tommaso Gallo - Appoggiati a Me
Martedi 29 ottobre abbiamo partecipato al nostro primo tavolo istituzionale, relativo al 3° Piano di Zona per gli anni 2014-2016.
Da quanto ci risulta è stata quasi una presenza rivoluzionaria, perché per la prima volta i rappresentanti di disabili e i loro genitori hanno partecipato senza intermediazione alla redazione di un piano così importante per le politiche sociali del nostro territorio.
L’incontro di martedì è stato positivo sotto alcuni aspetti ma interlocutorio sotto altri.
Quello che ci è parsa da subito critica è la mancanza di informazione proprio per chi dovrebbe usufruire di certi servizi: associazioni e prestazioni di cui i genitori ignorano l’esistenza, esigenze di cui spesso nessuno sa nulla. Questo solo per far comprendere quanto siano ancora gravi le carenze nella nostra città su argomenti molto delicati e come sia minato il campo in cui vorremmo intervenire.
Ci siamo resi conto che la disabilità viene vista molto spesso solo dal punto di vista della non autosufficienza degli anziani: tranne il nostro intervento nessuno ieri sul tavolo specifico “Anziani e Disabilità” ha citato l’annosa questione dei bimbi disabili e delle loro famiglie, come se i servizi fossero già perfetti e nulla di più vada fatto.
Forse il tavolo è stato inteso male dalle associazioni ed enti coinvolti oppure abbiamo frainteso noi il senso del tavolo? Ci siamo sentiti più volte fuori luogo perché il tavolo era incentrato più sull’anziano disabile che su anziani e disabilità. A volte una semplice vocale può cambiare le cose.
Nessuno forse ha capito che investire risorse su un bimbo disabile ben curato e trattato può diventare un adulto disabile più autonomo, e questo ovviamente andrebbe a ripercuotersi positivamente su tutto il sistema sanitario e su tutta la comunità.
Cambiare le cose, i modi di pensare, di vedere non si può… si deve!
Oggi più che mai i tagli alla spesa pubblica stanno andando maggiormente a colpire i più deboli e soprattutto indifesi e questo non lo possiamo accettare nel modo più assoluto.
Noi ci siamo e questo tutti lo devono sapere!
Riportiamo qui sotto fedelmente il nostro intervento letto durante l’incontro, che denota la nostra volontà propositiva e collaborativa per il futuro.
Intervento del Comitato “Appoggiati a Me” per il tavolo tematico di concertazione del 3° Piano Sociale di Zona Molfetta-Giovinazzo
Facciamo parte del Comitato “Appoggiati a Me” formato da genitori di persone disabili, nonché da disabili adulti e cittadini comuni sensibili a tale tematica.
Abbiamo deciso di costituirci quando ci siamo resi conto che avevamo tutta una serie di esigenze comuni non adeguatamente soddisfatte dai servizi pubblici a disposizione.
Ognuno di noi vive una realtà fatta di impegno totale e piccole e grandi difficoltà quotidiane: ci dedichiamo al miglioramento della qualità di vita dei nostri figli per i quali in moltissimi casi c’è bisogno dell’assistenza in ogni atto quotidiano. Ci teniamo a sottolineare questo in sede preventiva per sgomberare il campo da equivoci o possibili sovrapposizioni con altre realtà del terzo settore già esistenti sul territorio.
Il nostro scopo è quello di porre all’attenzione delle autorità competenti la propria esperienza diretta ed i propri bisogni per cercare di evitare inutili interventi a pioggia e magari contribuire a creare interessanti presupposti occupazionali ed economici per realtà collegate e per il Comune stesso.
Investire migliorando le possibilità riabilitative di un bimbo disabile porterà ad un adulto disabile il più autonomo possibile, con vantaggi per tutta la comunità.
Abbiamo perciò sintetizzato una serie di criticità ed aree importanti su cui Comune, ASL, Enti e Famiglie potrebbero collaborare, favorendo la fruizione di servizi indispensabili di riabilitazione e miglioramento della qualità della vita :
- Istituzione di un fondo a favore della fruizione di corsi di Idroterapia, Ippoterapia, Logopedia, Psicomotricità
- Interventi a sostegno dell’abbattimento delle barriere architettoniche nei condomini e abitazioni
- Introduzione di figure terapeutiche specializzate che ad oggi mancano nel centro riabilitativo di Molfetta, cosa che costringe molte famiglie a lunghi tragitti giornalieri per effettuare le terapie necessarie ai propri bimbi; alle stesse famiglie sarebbe nel frattempo necessario riconoscere un rimborso spese carburante
- Maggiore attenzione alle situazioni gravissime che richiedono Assistenza domiciliare specializzata anche solo per poche ore giornaliere.
- Interventi per l’inclusione sociale, soprattutto scolastica
- Unica sede riabilitativa
- Sensibilizzazioni varie
- Aiuto psicologico ai genitori
Questa importantissima occasione odierna di partecipazione democratica e di condivisione delle scelte future è una grandissima opportunità per migliorare sia la vita quotidiana del disabile stesso sia quella di chi lo assiste ma anche per mirare gli investimenti della Comunità.
Vogliamo sperare che queste opportunità vengano colte.
giovedì 31 ottobre 2013
Parcheggi per disabili nella zona ASI: dalla Decathlon importanti novità.
di Alfonso Balducci - Appoggiati a Me
Il Comitato “Appoggiati a Me” si è occupato, e ne ha parlato in questo blog, della impossibilità di far rispettare i parcheggi riservati ai disabili che si trovano in prossimità dei numerosi centri commerciali della zona ASI di Molfetta. Mossi dalla volontà di risolvere la questione abbiamo chiesto di incontrare le singola realtà presenti in zona a cominciare dalla Decathlon, che ha immediatamente accolto il nostro invito. Dopo l’incoraggiante confronto diretto di una nostra delegazione col direttore Egidio Introna avvenuto il 5 ottobre scorso, ci sono giunte due comunicazioni che ci fanno ben sperare per una risoluzione definitiva e in tempi rapidi del problema da noi denunciato.
Il 14 ottobre abbiamo scritto alla Decathlon una email con la quale chiedevamo se ci fossero novità sulla questione. Neanche un’ora dopo riceviamo già la seguente risposta:
Il 14 ottobre abbiamo scritto alla Decathlon una email con la quale chiedevamo se ci fossero novità sulla questione. Neanche un’ora dopo riceviamo già la seguente risposta:
Buonasera Sig. Alfonso Balducci.
Ci siamo attivati in tre direzioni:
- 1) abbiamo regolamentato i parcheggi dei collaboratori interni riservando dei posti ai dipendenti in maniera tale da garantire la disponibilità dei parcheggi per uso interno (per intenderci non troverà mai più la macchina bianca su un posto non appropriato)
- 2) ci siamo attivati con il servizio di vigilanza esterno affinchè nei momenti in cui è impiegato (le ore serali) eviti tassativamente di far parcheggiare le auto senza tagliando di riconoscimento sui posti riservati ai disabili.
- 3) abbiamo informato sia il nostro servizio giuridico che il nostro servizio immobiliare della vicenda, perché tecnici e competenti nelle relazioni con la pubblica amministrazione, hanno preso contatti con il comune ed il consorzio ASI di Molfetta.
Personalmente mi confronto costantemente con i nostri referenti e credo che nel breve avremo la soluzione del caso, il nostro comune intento è quello di ottenere il riconoscimento dei nostri posti riservati ai disabili da parte dei Vigili Urbani e di conseguenza la possibilità di poter confidare nel loro diretto intervento sul nostro parcheggio in caso di bisogno.
Possiamo aggiornarci nei prossimi giorni.
Sportivamente,
Egidio Introna
Come promesso dal direttore della Decathlon di Molfetta, una seconda email ci è arrivata il 22 ottobre:
Buonasera Alfonso,
dopo varie peripezie e visite tra l’ufficio tecnico del comune e la stazione dei Vigili Urbani di Molfetta, sono riuscito a parlare direttamente con il comandante dei Vigili il Dott. Gadaleta che si è reso disponibile e ha fatto chiarezza sulla questione e sulla risoluzione del problema.
In pratica tutti i posti disabili della zona commerciale non sono riconosciuti come tali perché sono posti su delle aree prettamente private e di conseguenza i vigili sono impossibilitati ad intervenire se non su espressa richiesta dei proprietari dei suoli privati stessi, in pratica come ha fatto qualche anno fa l’Outlet.
Il nostro ufficio legale nei prossimi giorni (spero domani) contatterà il comandante per riuscire a formulare correttamente la nostra richiesta e subito dopo lo stesso comandante emetterà una ufficiale ordinanza che autorizzerà i vigili ad intervenire nel nostro parcheggio.
Finalmente abbiamo compreso che in pratica la zona ASI centra ben poco con tutta la questione così come la parte economica è inesistente perchè non ci sono oneri da pagare.
La nostra volonta è di riuscire nei prossimi giorni a regolarizzare tutta la situazione e spero che anche le altre insegne seguano la nostra strada.
Ci aggiorniamo a presto,
Egidio Introna
Siamo più che lieti che il direttore Introna abbia preso seriamente a cuore la questione e la sua correttezza di comportamenti e la sua sensibilità gli fanno onore. Speriamo anche noi che le altre insegne seguano l’esempio e che si giunga a una regolarizzazione generalizzata della segnaletica stradale in tutta la zona ASI.
Ovviamente vi aggiorneremo sugli ulteriori sviluppi di questa vicenda con l’augurio di potervi dare presto la notizia della definiva risoluzione del problema.
martedì 22 ottobre 2013
Anche gli Angeli hanno bisogno di aiuto
di Domenico Porcelli - Appoggiati a Me
Anche gli Angeli hanno bisogno di aiuto
La gioia più immensa
La pancia che cresce
E come per incanto
La vita che nasce
Quelle mani piccole che esplorano l’aria
Il tuo sguardo che vaga nel vuoto
E poi arriva la tanto sospirata prima parola
Nella nostra illusione
assume le forme più svariate: “mamma”, “papà”,
e chissà cosa
Ma un bel giorno inizi a cadere
le gambe tremano
Il bicchiere ti sfugge di mano
L’acqua si rovescia
Il cucchiaio cade,
la forchetta è pesante
E tu cadi ancora
non ti alzi
I rimbrotti, non capiamo
I dubbi, le paure
E tu cadi batti la testa,
si rompe il dente
non riesci a masticare e
nascono i dubbi.
Le prime visite e
nulla vien fuori e
cadi… e continui a cadere
I sensi di colpa, i timori,
le lacrime nascoste
Ma i tuoi occhi sono sereni
Nel tuo sguardo troviamo la forza
E tutto cambia
Rivediamo le nostre priorità
Cambiamo i nostri pensieri
Modifichiamo la nostra mente
Capiamo, ti sorreggiamo
Ti diamo forza
Affinchè tu la dia a noi
Lottiamo…
si che lottiamo
e tu non sai quanto…
con tutta la forza
A volte andando anche oltre le parole
A volte siamo un treno in corsa… inarrestabile
Ma il tutto ha un solo fine
Perchè piccoli Angeli
avete bisogno di noi
così come noi di voi
Dei vostri sguardi sereni
Dei vostri sorrisi innocenti
Dei vostri abbracci carichi di amore
Con questo ci ripagate
delle mille fatiche
Qualcuno “addolcisce” le parole
Altri pensano di capire
E altri ancora di comprendere
Ma chi può vedere
dentro il cuore di un genitore?
Chi può vedere le ferite?
Chi può vedere quanto è lacerato?
L’indifferenza, la drammaticità,
l’isolamento, l’esclusione,
i paragoni, i confronti,
la cattiveria, chi può vedere?
Chi può vedere il muro
che ergiamo per voi,
piccoli Angeli, affinchè siate sereni?
Anche gli Angeli hanno bisogno di aiuto
ma troppo spesso sono lasciati soli
Anche gli Angeli hanno bisogno di aiuto
e l’unico aiuto
è nell’Amore dei propri genitori
L’Amore dei genitori è per sempre.
Anche gli Angeli hanno bisogno di aiuto
La gioia più immensa
La pancia che cresce
E come per incanto
La vita che nasce
Quelle mani piccole che esplorano l’aria
Il tuo sguardo che vaga nel vuoto
E poi arriva la tanto sospirata prima parola
Nella nostra illusione
assume le forme più svariate: “mamma”, “papà”,
e chissà cosa
Ma un bel giorno inizi a cadere
le gambe tremano
Il bicchiere ti sfugge di mano
L’acqua si rovescia
Il cucchiaio cade,
la forchetta è pesante
E tu cadi ancora
non ti alzi
I rimbrotti, non capiamo
I dubbi, le paure
E tu cadi batti la testa,
si rompe il dente
non riesci a masticare e
nascono i dubbi.
Le prime visite e
nulla vien fuori e
cadi… e continui a cadere
I sensi di colpa, i timori,
le lacrime nascoste
Ma i tuoi occhi sono sereni
Nel tuo sguardo troviamo la forza
E tutto cambia
Rivediamo le nostre priorità
Cambiamo i nostri pensieri
Modifichiamo la nostra mente
Capiamo, ti sorreggiamo
Ti diamo forza
Affinchè tu la dia a noi
Lottiamo…
si che lottiamo
e tu non sai quanto…
con tutta la forza
A volte andando anche oltre le parole
A volte siamo un treno in corsa… inarrestabile
Ma il tutto ha un solo fine
Perchè piccoli Angeli
avete bisogno di noi
così come noi di voi
Dei vostri sguardi sereni
Dei vostri sorrisi innocenti
Dei vostri abbracci carichi di amore
Con questo ci ripagate
delle mille fatiche
Qualcuno “addolcisce” le parole
Altri pensano di capire
E altri ancora di comprendere
Ma chi può vedere
dentro il cuore di un genitore?
Chi può vedere le ferite?
Chi può vedere quanto è lacerato?
L’indifferenza, la drammaticità,
l’isolamento, l’esclusione,
i paragoni, i confronti,
la cattiveria, chi può vedere?
Chi può vedere il muro
che ergiamo per voi,
piccoli Angeli, affinchè siate sereni?
Anche gli Angeli hanno bisogno di aiuto
ma troppo spesso sono lasciati soli
Anche gli Angeli hanno bisogno di aiuto
e l’unico aiuto
è nell’Amore dei propri genitori
L’Amore dei genitori è per sempre.
sabato 19 ottobre 2013
Il dramma della solitudine nelle famiglie con disabilità
Non è raro leggere o ascoltare storie di cronaca che vedono come protagonisti genitori accusati di omicidio o di tentato omicidio del proprio figlio affetto da disabilità. Molte volte vengono colpevolizzati, altre volte giustificati ma troppo spesso, se non sempre, questi sono solo urla di solitudine di famiglie abbandonate a sé stesse.
Quando la diagnosi di disabilità giunge in una famiglia le reazioni sono differenti e cambiano da persona a persona. Si passa dall'incredulità allo sconforto e spesso molti genitori non riescono a superare questa fase e rifiutano la realtà, il proprio figlio o la propria vita. L'unica cosa certa è che solo i genitori possono fare molto per i loro figli. E proprio quando hanno bisono del sostegno di tutti vengono abbandonati da chi sino a quel momento è stato loro accanto: amici, parenti sino a giungere alle istituzioni.
Molti matrimoni o relazioni giungono a termire a causa dello stress che i genitori subiscono a causa delle incomprensioni che nascono dalle decisioni di cura e non solo da prendere per il proprio figlio. I genitori a questo punto è facile che entrino nel tunnel della depressione soprattutto quando arrivano a comprendere che le loro forze sono ormai al limite e si innescano meccanismi mentali che possono portare a conseguenze drammatiche.
A questo punto è doveroso comprendere che i genitori necessitano in primis di un supporto psicologico oltre che assistenziale e ricreativo. Inclusione sociale non solo per i disabili ma anche per i loro genitori che frequentemente si isolano dal mondo per poter curare e seguire i propri figli.
giovedì 17 ottobre 2013
Anche a Molfetta un'altalena per bimbi disabili
di Eufrasia del Vecchio ed Angelo Altomare - Appoggiati a Me
Sabato 13 ottobre alle ore 17,30 presso la Villa Comunale è stata inaugurata la prima altalena per bimbi disabili a Molfetta. Quando siamo venuti a conoscenza che nella nostra città un gruppo di cittadini, associazioni e attività commerciali avevano promosso una raccolta fondi per questa iniziativa siamo stati felicissimi e senza esitazione abbiamo anche dato il nostro modesto contributo. Ma all'entusiasmo si è sostituita l'amarezza quando, iniziati i lavori di installazione, ci siamo resi conto della infelice posizione che era stata scelta, così lontana e isolata rispetto all'area giochi da pregiudicare l'inclusione con gli altri bimbi.
Comunque, seppur profondamente delusi per aver visto sprecata una buona iniziativa, ci siamo recati, insieme al nostro Antonio, all'inaugurazione di questa altalena presente il sindaco Paola Natalicchio che nel suo discorso ci ha piacevolmente sorpreso. Infatti è stata la prima a dichiarare pubblicamente le nostre stesse perplessità e ha reso noto che porrà rimedio a questo errore fatto dai tecnici comunali creando un collegamento, oggi assente, tra le due aree giochi esistenti e aggiungendo nei pressi della nuova altalena altri giochi e panchine. Ascoltando le sue parole ci siamo rincuorati nell'aver riscontrato nel nuovo sindaco quella sensibilità per troppo tempo assente nelle precedenti amministrazioni.
Il nostro Antonio ha avuto l'onore di essere stato il primo a provare la nuova giostra e la sua emozione era visibile. È stato bello vedere nostro figlio sorridere sul dondolo e sentirsi sicuro di non cadere. Poi gli abbiamo chiesto cosa ne pensasse ed egli prontamente ci ha risposto così: "mamma è bello perché posso spingermi da solo però non mi piace perché va piano".
In conclusione vogliamo ringraziare il comitato promotore (formato dal Cin Cin Bar, l'Altra Molfetta, molfettalive.it, l'Associazione "Aiutare i Bambini", Edirespa, la Voce di sant'Andrea, lo Studio360) e tutte le aziende e cittadini che hanno contribuito con le loro offerte, per averci regalato un pomeriggio speciale e donato un sorriso ai nostri piccoli.
lunedì 14 ottobre 2013
Resoconto della prima riunione del Comitato "Appoggiati a me"
di Maria Cappelluti - Appoggiati a Me
Domenica pomeriggio, presso la sede provvisoria di via Quintino Sella 54, in un clima piacevole ed informale si è tenuta la prima riunione del comitato “Appoggiati a me”. Il bilancio finale è nettamente superiore rispetto alle nostre pur ottimistiche aspettative.
Sono stati molti i genitori, e non solo, che hanno aderito alla nostra iniziativa. In quasi tre ore, letteralmente volate via, sono stati trattati argomenti che hanno spaziato tra il perché della necessità di riunirci in un comitato come il nostro, all’obiettivo di abbattere le barriere oltre che architettoniche anche mentali e culturali, cercare soluzioni fattibili ai vari problemi che affliggono quotidianamente il disabile e chi gli vive intorno.
Ci siamo confrontati, abbiamo raccontato le nostre vite, le nostre esperienze, abbiamo ascoltato storie di lotte quotidiane, di delusioni cocenti ma anche di piccoli e grandi traguardi raggiunti.
Il risultato forse più importante che domenica abbiamo raggiunto è stato quello di aver constatato l’importanza di questo comitato che va a colmare un vuoto in questo ambito che non è stato colmato dalla presenza di associazioni già presenti sul territorio.
A fine riunione ci siamo salutati con la volontà di mantenere il contatto quotidiano attraverso i social network dove siamo presenti e di ritrovarci presto in un nuovo incontro.
giovedì 10 ottobre 2013
Incontriamoci!
Sono passati meno di venti giorni da quando abbiamo cominciato questa avvincente avventura e già sono successe tante cose. Abbiamo preso contatti con le istituzioni e con alcune associazioni, avviato campagne di sensibilizzazione, fatto una petizione, elaborato progetti. Ma soprattutto abbiamo avuto lʼoccasione di conoscere (al momento solo virtualmente attraverso Facebook ed e-mail) tante persone che stanno mostrando estremo interesse per le nostre iniziative. Sentiamo che è arrivato il momento di incontrarci anche fisicamente per conoscerci meglio.
Non nascondiamo che la ricerca di un luogo adatto, privo di barriere architettoniche, che consenta a tutti di poter partecipare a questo incontro liberamente, è stata meno semplice di quanto si potesse immaginare. Finalmente abbiamo avuto dal parroco del Sacro Cuore di Gesù, don Michele (che ringraziamo pubblicamente per aver accettato di aiutarci senza la minima esitazione), la disponibilità di un locale sito in via Quintino Sella 54. Segnaliamo che, svoltando lʼangolo, in corrispondenza di via Salepico 95 esiste a fianco di uno stallo per disabili anche uno scivolo che permette dalla strada di accedere al marciapiede.
La riunione è prevista questa domenica, 13 ottobre alle ore 17,00.
Per l'occasione è stato creato su Facebook l'evento a cui potete aderire ed invitare i vostri contatti.
VI ASPETTIAMO NUMEROSI. PASSATE PAROLA!
mercoledì 9 ottobre 2013
Anche Molfetta ha la sua altalena per disabili: sabato l’inaugurazione
All'inaugurazione sarà presente anche il nostro comitato con i nostri bimbi che proveranno il dondolo e ci diranno cosa ne pensano raccontando le loro riflessioni.
Redazione Molfettalive.it
Sono iniziati oggi i lavori di realizzazione della nuova altalena per disabili da installare nella villa comunale.
Dopo il successo della raccolta di fondi in favore del Comune di Camposanto, devastato dal terremoto del 2012, Antonio Francese ed il Cin Cin Bar di Molfetta dei fratelli Francese, insieme ad un ristretto comitato di collaboratori, si è reso ancora promotore di una raccolta fondi per una nuova iniziativa di solidarietà.
“Dondola…senza barriere” è stato lo slogan dell’iniziativa che, grazie alla generosità dei molfettesi, ha raggiunto il suo obiettivo, consentendo l’acquisto di un’altalena per disabili. L’idea dell’altalena è venuta dalla considerazione che, a differenza di altri comuni limitrofi, a Molfetta i ragazzi disabili non potevano godere neppure del più banale dei divertimenti, ovvero dondolarsi su un’altalena!
Tutti hanno contribuito, nonostante il difficile periodo economico, a far sorridere i ragazzi meno fortunati, che dal 12 ottobre p.v., avranno finalmente la loro altalena. Il successo dell’iniziativa si deve principalmente all’entusiasmo, alla generosità e all’impegno organizzativo di Antonio Francese del Cin Cin Bar che, ancora una volta, è stato ideatore e promotore di una iniziativa di concreta solidarietà.
L’altalena, acquistata con il ricavato della raccolta, è già arrivata in città e da oggi sono iniziati ufficialmente i lavori di montaggio. L’ inaugurazione avverrà Sabato 12 ottobre 2013, alle ore 17,30 presso la Villa Comunale – Molfetta.
Alla cerimonia interverranno: il Sindaco, Paola Natalicchio; l’assessore ai servizi sociali, Bepi Maralfa; il Presidente del Consiglio Comunale, Nicola Piergiovanni; Antonio Francese, Referente del Comitato promotore Dondola.
E, naturalmente, non mancheranno le associazioni di volontariato che si occupano dell’assistenza ai disabili e, soprattutto, i nostri fratelli meno fortunati, che potranno divertirsi sulla nuova altalena.
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